Sfiducia o dimissioni, la questione Alfano sul tavolo

Palazzo Chigi e la vicenda kazaka

La mozione di sfiducia al ministro Angelino Alfano presentata dalle opposizioni sarà discussa e votata venerdì mattina al Senato. Ma è probabile che il destino del titolare del Viminale – e di conseguenza quello del governo – si decida già nelle prossime ore. La relazione sulla vicenda kazaka presentata ieri a Palazzo Madama non è servita a rasserenare il clima. Anzi, mentre oggi il Pdl si schiera a difesa del proprio segretario, nel Partito democratico si allarga il fronte di chi è pronto a sfiduciare Alfano.

In attesa dei prossimi eventi, in Parlamento si prende tempo. Questa mattina i senatori del Partito democratico dovevano incontrarsi per decidere la linea del gruppo in vista del voto di venerdì. All’ultimo il vertice è stato sconvocato e rimandato a domani. Una pausa strategica. «Il tempo per capire se nel frattempo cambia qualcosa» raccontano in tanti. La parola torna a Palazzo Chigi. A detta di numerosi parlamentari democrat, le spiegazioni di ieri non sono state sufficienti. E così a Montecitorio c’è chi auspica un nuovo intervento del governo. 

Effettivamente nel pomeriggio il premier Enrico Letta torna sulla vicenda. Parlando da Londra, dove ha incontrato il primo ministro David Cameron, il presidente del Consiglio difende Alfano. «Non vedo nubi all’orizzonte – garantisce, anticipando che venerdì parlerà in Senato – Dalla relazione del prefetto Pansa emerge la totale estraneità del ministro Alfano».

In Parlamento, il chiarimento di Letta non sembra bastare. In Transatlantico si continua a ipotizzare un intervento del titolare del Viminale Angelino Alfano. Di che tipo? Le ipotesi si diffondono incontrollate. C’è chi è pronto a scommettere su nuove spiegazioni del ministro, pronto a difendere la sua posizione. Ma anche chi immagina un “gesto di responsabilità”. Le dimissioni dal ministero dell’Interno. 

Lasciando il Viminale e conservando il ruolo di vicepremier, il segretario del Pdl metterebbe il governo al riparo dalla vicenda kazaka. Depotenziando i rischi di un eventuale sfiducia individuale. In astratto, sarebbe la soluzione migliore per tutelare l’esecutivo. «In linea teorica è uno scenario possibile – racconta un deputato democrat vicino al premier Letta – Certo, in quel caso il governo avrà l’obbligo di trovare in tempi brevissimi una figura adeguata per sostituire Alfano». Alla Camera gira anche il nome di un possibile rimpiazzo: Renato Schifani.

E se invece alla fine Alfano lasciasse il governo? «Chi lo dice che senza di lui l’esecutivo delle larghe intese sia destinato a cadere? Se ne sono dimessi tanti di ministri dell’Interno…» Alla Camera le voci si susseguono, indiscrezioni rigorosamente non verificate. Il segretario del Pdl è pronto al passo indietro, un minuto più tardi resta saldo al suo posto.

Intanto il Partito democratico rischia di sfaldarsi. Se al Nazareno sono concordi nel definire non sufficiente la relazione di ieri al Senato, non tutti condividono la linea da tenere. «La situazione è grave – racconta il renziano Matteo Richetti – Siamo ben oltre le beghe interne del Pd». Ecco la prima novità. Nel Partito democratico il fronte di chi è pronto a votare la sfiducia al ministro Alfano si allarga. Assieme ai parlamentari vicini al sindaco di Firenze – poco fa 13 senatori renziani hanno chiesto in una lettera di sostenere la mozione delle opposizioni – si posizionano anche altri. È il caso del candidato alla segreteria Gianni Cuperlo – che auspica «un atto di grande sensibilità istituzionale, politica e di grande responsabilità» – Ma anche del prodiano Sandro Gozi e l’ex pm Felice Casson. 

Legittime posizioni politiche o pretestuosi attacchi al governo, come lamentano molti nel Pdl (e non solo)? Si parlerà anche di questo alle 17 durante una riunione della segreteria democrat. Intanto poco fa alla Camera la riunione dei capigruppo ha stabilito che venerdì la mozione di sfiducia sarà votata solo al Senato. Nessuna replica a Montecitorio. Lo hanno deciso all’unanimità i rappresentanti di tutti i partiti. Per decidere le sorti del governo sarà sufficiente la votazione di Palazzo Madama. 

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