L’Imprenditoria è la pietra filosofale dei giorni nostri: qualcosa di misterioso che presumibilmente racchiude il segreto per la crescita e per la creazione di lavoro. [….]
Ma cosa è esattamente l’imprenditorialità? E in che modo dovrebbe essere incentivata dai governi? I politici sono confusi, e partono dal presupposto che imprenditorialità significhi nuova tecnologia, quindi tentano di creare nuove Silicon Valley; o che sia sinonimo di piccole imprese, quindi si concentrano sugli aiuti alle startup. Ma entrambi questi presupposti sono fuorvianti.
La Silicon Valley è sicuramente stata, nei recenti decenni, la capitale dell’imprenditoria basata sulla tecnologia. Ma non è necessario essere degli “smanettoni” per essere degli imprenditori. George Mitchell, petroliere texano e pioniere della fratturazione idraulica ha cambiato il mondo tanto quanto chiunque nella Silicon Valley. Non è nemmeno necessario essere un innovatore. Miguel Dávila e i suoi colleghi hanno creato una impresa gigantesca importando il cinema Multiplex dagli Stati Uniti al Messico. La loro unica innovazione, dice Dávila, è stata di mettere sui popcorn il succo di limone e la salsa piccante anziché il burro.
Allo stesso modo, c’è una differenza enorme fra i tipici titolari di una piccola impresa (che sognano di aprire un’altra filiale) e un vero e proprio imprenditore (che sogna di cambiare il mondo). Jim McCann, che ha creato 1-800-flowers.com è un imprenditore e non solo un fiorista perché quando ha aperto il suo primo negozio nel 1976, ha guardato al suo business “attraverso gli occhi di McDonalds”, racconta, e ha lavorato per anni al fine di creare la più grande impresa di consegna di fiori del mondo.
Da questi presupposti errati ne conseguono politiche sbagliate. Il mondo è pieno di enclavi high-tech che non riescono a decollare. La zona Biotech della Malesia è stata rinominata la “valle dei bio-fantasmi”. Il mondo è anche pieno di piccole imprese che non riescono a creare molte opportunità di lavoro. La fondazione Kauffman, che svolge attività di ricerca in questo settore, ha dimostrato che la maggior parte degli impieghi deriva da un minuscola fetta di aziende ad alto tasso di crescita.
Daniel Isenberg ha trascorso 30 anni nel mondo dell’imprenditoria come imprenditore (a volte fallendo), come venture capitalist e come accademico (ha insegnato alla Harvard Business School e attualmente insegna al Babson College). Ha anche viaggiato attorno al mondo e ha raccolto molti esempi – ha uguale interesse per l’industria farmaceutica islandese che per i giganti della Silicon Valley. In un nuovo libro “Worthless, Impossible, and Stupid”, (Inutile, Impossibile e Stupido), fornisce una nuova definizione di imprenditorialità. Gli imprenditori vedono valore dove gli altri vedono il nulla, e vedono opportunità di business dove gli altri vedono solo un vicolo cieco.
Ci sono molti esempi: Mo Ibrahim, fondatore di Celtel, per primo ha visto le opportunità del portare i telefoni cellulari nell’Africa sub-sahariana, mentre i giganti della telefonia vedevano solo un gruppo di squattrinati e degli enormi grattacapi logistici. In un viaggio in Tobago Sean Dimin e suo padre Michael si accorsero che i pescatori lasciavano marcire tonnellate di pesce, quindi hanno creato una azienda, Sea to Table, che trasportava il pesce in eccesso ai ristoranti di New York. Quando Will Dean era uno studente della Harvard Business School, si accorse che i social media stavano alimentando la moda per gli sport estremi. Di conseguenza, ha creato una azienda, Tough Mudder, che fa pagare le persone per soffrire e per essere umiliati.
Isenberg sottolinea che gli imprenditori di successo hanno bisogno di sufficiente sicurezza in se stessi per opporsi al senso comune (i professori di Will Dean gli diedero del pazzo) e la determinazione per superare gli ostacoli (Dimin e suo padre impiegarono due anni per riuscire a modificare le abitudini dei pescatori). Infatti, alcuni dei migliori imprenditori sono più famosi per la loro abilità di realizzare l’impossibile che per l’originalità dei loro pensieri. […]
Isenberg ha due importanti consigli per i politici che vogliono davvero incentivare l’imprenditorialità. Innanzitutto è necessario rimuovere le barriere all’entrata, e incentivare la crescita in qualsiasi tipo di business, invece di cercare di sostenerne alcuni in particolare. In secondo luogo, è fondamentale riconoscere l’importanza del profitto. Si è parlato molto di “imprenditoria sociale” – di incoraggiare le imprese a fare delle buone azioni – ma la verità è che il principale incentivo per un imprenditore è la possibilità di fare molti soldi. Questo è ciò che motiva le persone a prendersi enormi rischi e a tenere duro durante gli anni difficili. E questo è anche ciò che incoraggia gli investitori a puntare su delle idee che, inizialmente, sembrano folli.
I politici e i burocrati non solo confondono l’imprenditoria con ciò che gli piace – la tecnologia, le piccole imprese – ma non si rendono conto che alcuni elementi dell’imprenditoria possono non piacergli. Gli imprenditori prosperano sulla disuguaglianza: l’incredibile ricchezza che generano in America rende il paese più iniquo. Prosperano anche sulle “rotture”, sui cambiamenti che inevitabilmente creano vincitori e perdenti. Schumpeter sosteneva che il progresso economico si verifica nelle “spaccature” e con “salti” non in “piccoli passi infinitesimali”, perché è trainato dagli imprenditori che trasgrediscono alle regole. Sarebbe bello pensare che sia possibile crescere e creare posti di lavoro senza le “spaccature” di Schumpeter. Ma, ahimè, alcuni pensieri sono davvero inutili impossibili e stupidi.