Fallisce Zaleski? Il capitalismo italiano è più normale

Debiti per 2,2 miliardi di euro

Tra il caldo agostano di ieri è passata quasi sotto silenzio una notizia che, se confermata a settembre, potrebbe trasformare il nostro capitalismo in qualcosa di più normale di un playground dove ci sono giocatori molto più uguali di altri. La notizia è questa: Unicredit (esposta su Tassara per 500 milioni) ha bocciato il piano di ristrutturazione della holding, quindi se entro settembre la Carlo Tassara di Romain Zaleski non lo cambia, parte la liquidazione coatta. Nel nostro piccolo, il fatto che le banche creditrici – dopo aver per anni finanziato lautamente il finanziere franco-polacco, spesso usato come taxi per operazioni di sistema che nulla hanno a che vedere con il mercato – possano anche lasciar fallire la sua holding, ci sembra una svolta non male. L’atterraggio sulla terra di una impresa che verrebbe trattata, sul merito di credito e sui criteri di finanziamento, finalmente alla stregua del piccolo imprenditore anonimo. Dunque, se del caso, lasciata al proprio destino.

Zaleski infatti è al terzo giro di ristrutturazione dei suoi 2,2 miliardi di debiti a fronte di partecipazioni che non arrivano all’1,2 miliardi ma sono quantomai strategiche: Intesa Sanpaolo, Ubi, Mps (tra i principali creditori della stessa holding), Generali, Mediobanca, Mittel, Cattolica etc.

Al contrario di un signor Rossi qualunque – piccolo imprenditore con il suo fido di pochi milioni – finora la regola perversa di sistema è stata di non lasciar fallire le varie Tassara di turno pena un pericoloso boomerang per i conti delle stesse banche finanziatrici. Badate: finanziata non per piani di sviluppo industriale. No. Con i soldi a prestito la Tassara speculava in Borsa guadagnando (o meglio perdendo) acquistando titoli delle stesse banche creditrici. Intesa Sanpaolo in testa (esposta per 1,2 mld). Ma anche Mps (200 milioni) e Ubi (150 milioni).

Per questo ci piace molto l’ipotesi che anche per gli Zaleski, sull’onda della crisi e di bilanci bancari disastrati che impongono ristrutturazioni finalmente vere e non politiche, ad un certo punto possa non valere più la regola “troppo grande per fallire”. Non ci crederemo finché la vedremo applicata, ma anche solo la rottura del tabù, in questo caldo agostano, è un piccolo segnale verso la normalità. 

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