La Carinzia smette di tentare le pmi, ma l’Italia è ko

Italia, un sistema fiscale oppressivo

«È una bella notizia. Non potevamo continuare ad assistere a queste imprese che vengono letteralmente subissate da lettere d’invito ad andare in Carinzia». Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha tirato un sospiro di sollievo. L’incontro con il governatore del land austriaco della Carinzia Peter Keiser si chiude con un primo, importante risultato. Una decisione «di straordinaria importanza strategica». Le autorità austriache hanno deciso di chiudere la locale agenzia di promozione e sviluppo. La stessa che da tempo continuava a contattare numerosi imprenditori veneti – per qualcuno una vera e propria provocazione – spingendoli a trasferirsi oltreconfine. È un primo passo. «Un atto che testimonia la volontà di far prevalere il dialogo e la cooperazione e di evitare qualsiasi invasione di campo» spiega Zaia.

Eppure il problema resta. Al netto delle lettere inviate dall’agenzia di promozione austriaca, il carico fiscale più leggero e la burocrazia più snella continuano a esercitare un’attrazione rilevante sui nostri imprenditori. Il progetto di lasciare l’Italia rimane un’ipotesi concreta. Spesso l’unica strada per non chiudere. «Tolta questa agenzia resta un problema che Roma deve risolvere – dice Zaia – Non possiamo pagare il 65 per cento di pressione fiscale su quello che si va a fatturare». In poche parole, rimane il dramma di «uno Stato che costringe il nostro sistema produttivo, a causa delle sue disastrose politiche fiscali ed economiche, a guardare altrove per sopravvivere».

Qualche giorno fa aveva fatto discutere la scelta di Francesco Biasion, imprenditore dell’azienda vicentina Bifrangi, in partenza per l’Austria. Disposto ad aprire un nuovo stabilimento in Carinzia con 300 operai.

«Non credo più al sistema Italia, non penso che si possa più fare impresa nel nostro Paese – raccontava a Linkiesta – Io sono un imprenditore onesto e vengo trattato dalle istituzioni alla stregua di un delinquente. E se vuole le faccio i nomi: sindacati, magistratura, amministrazione comunale, burocrazia locale. Le ultime multinazionali rimaste se ne andranno via una a una. Se tutto il sistema rema contro gli imprenditori, regole del mercato del lavoro, certezza del diritto, istituzioni, non ha più senso restare qui».

Nonostante l’accordo firmato ieri da Zaia e Kaiser, difficilmente l’imprenditore vicentino cambierà idea. Forse la chiusura dell’agenzia di promozione carinziana – da ieri inglobata nella locale Camera di commercio – servirà almeno ad arginare il fenomeno migratorio. Ma quanti sono i lavoratori veneti che hanno già trasferito le proprie imprese oltre il Brennero? Ancora non moltissimi, in realtà. Secondo i dati della Camera di commercio della Carinzia, pubblicati dall’edizione veneta del Corriere della Sera, negli ultimi dieci anni hanno deciso di trasferirsi circa 200 italiani. Spesso si tratta di artigiani, piccole e medie imprese. Dopotutto anche la Carinzia ha i suoi problemi. «La nostra regione ha aspetti fiscali positivi, tasse sulle imprese più basse – spiegava Kaiser – Ma ha anche tasse molto alte sulla persona, perché dobbiamo contrastare le differenze tra i troppo ricchi e i troppo poveri». 

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Ritorna il sogno della Carinzia? Cinquanta imprenditori sono partiti per una visita a Klagenfurt e le associazioni di categoria hanno applaudito. Sbagliando, dice Mario Pozza presidente Confartigianato della provincia di Treviso, perché “i problemi vanno affrontati sul territorio”.

Il bluff della fuga delle aziende italiane in Carinzia

Linkiesta ha raccontato l’intenzione di 50 imprenditori veneti di trasferirsi in Carinzia. Altri imprenditori ci hanno invece detto che andarci sarebbe sbagliato. Cristina Giudici è andata a vedere per noi. Risultato: è vero che il segreto bancario, qui in vigore, attrae, ma l’esodo non c’è.

Un governo crede alle nostre imprese, quello austriaco

Mentre il governo annaspa, ieri quattro rappresentanti della Carinzia sono andati ad illustrare a degli imprenditori di Varese i vantaggi che si hanno a spostare alcune attività nella regione austriaca, dove, ad esempio, l’Irap non esiste. Fin qua tutto normale, se non fosse che a organizzare l’incontro è stato il presidente della Confapi, l’associazione delle piccole e medie imprese varesine. Ma perché sponsorizzare un governo straniero? «Semplice: perché vogliamo aiutare gli imprenditori a continuare a fare impresa».

Senza articolo 18 l’Austria non ha disoccupati

Un mix di welfare, tasse basse sulle imprese, alta innovazione e formazione scolastica in stretto contatto con le esigenze economiche. È il miracolo dell’Austria che, con appena il 4,2% di senza lavoro, è il Paese europeo con la disoccupazione più bassa. Dove si può licenziare senza fornire alcuna motivazione.

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