Al Presidente degli artigiani di Treviso rispondo con una osservazione: la Cassa integrazione è per sua natura un trattamento di natura assicurativa, che come tale dovrebbe basarsi su di un equilibrio fra la contribuzione versata dalle imprese e le integrazioni salariali pagate dall’Istituto previdenziale.
Nel 2009, in via eccezionale e provvisoria, a seguito dello scoppio della grande crisi, si è deciso di erogare quel trattamento anche al di fuori del rapporto assicurativo, quindi in situazioni nelle quali esso non era sorretto da alcuna precedente contribuzione, e senza alcuna regola o requisito predeterminato. Dovrebbe essere evidente a tutti che un ampliamento dei beneficiari come questo, “tutti sono invitati alla festa”, può durare solo per un tempo molto breve. Invece siamo già al quinto anno, e – come questa lettera dimostra – c’è già chi teorizza che… “Pantalone deve continuare a pagare e tutti devono poter continuare a goderne”.
Il risultato pratico è che questa manna piovuta dal cielo al di fuori di qualsiasi regola è andata e continua ad andare a sostegno non soltanto di persone e imprese che effettivamente lo avrebbero meritato, ma anche – e molto diffusamente – di vere e proprie truffe come quelle descritte nella lettera su Cassa Integrazione in Deroga, quante risorse sprecate, che ha dato origine a questo utile dibattito. Basti pensare che – come lo stesso Presidente degli artigiani di Treviso riconosce – la Cassa integrazione dovrebbe per sua natura intervenire soltanto nei casi in cui è ragionevole prevedere la ripresa del lavoro nell’azienda da cui il lavoratore formalmente dipende, mentre di fatto più di tre quarti della Cig in deroga è stata erogata in situazioni nelle quali il lavoro era interrotto da molti anni (persino otto, dieci, e oltre) e nelle quali le prospettive di ripresa nella stessa azienda erano nulle.
Se vogliamo un sistema di sostegno del reddito dei lavoratori in difficoltà moderno e sostenibile, dobbiamo renderci conto di un dato che nel resto di Europa è considerato ovvio, mentre a sud delle Alpi è considerato ovvio il contrario: cioè che un trattamento di entità collegata all’ultima retribuzione del lavoratore è equo e sostenibile soltanto nell’ambito di un rapporto assicurativo, cioè sulla base di una contribuzione regolare e commisurata alla retribuzione stessa.
Se invece si prescinde dalla contribuzione, si entra nel campo dell’assistenza; e questa, se non si vuol produrre posizioni di rendita ingiustificata e danni gravi al funzionamento del mercato del lavoro, deve essere erogata: a) soltanto in situazioni che rispondano a requisiti predeterminati e ben controllati e b) in misura proporzionata non all’ultima retribuzione, ma alla situazione di effettivo bisogno, sotto condizione della disponibilità del beneficiario a partecipare a tutte le iniziative necessarie per il reinserimento nel tessuto produttivo.
A questi principi rispondono tutti gli schemi di reddito minimo di inserimento applicati nei Paesi più civili del nostro. Se vogliamo porci in grado di attivare quegli schemi anche in casa nostra, dobbiamo smettere di sperperare le risorse disponibili come le stiamo (in larga parte) sperperando con la Cig in deroga, erogata senza regole, che vuol dire in troppi casi erogata secondo le sole regole del clientelismo o addirittura del malaffare. Erogata, nel migliore dei casi, senza alcuna “condizionalità” riguardo alla disponibilità effettiva del beneficiario per la ricerca di una nuova occupazione.