«La Camera non chiude per ferie. Commissione e Aula possono essere convocate in qualsiasi momento». Ore 11.30 del 9 agosto. Montecitorio ha appena approvato il decreto “Fare”, l’ultimo provvedimento in calendario prima della pausa estiva. Al momento dei tradizionali saluti, la presidente Laura Boldrini avverte i colleghi che stanno già lasciando l’emiciclo. Un attimo di smarrimento. Solo un attimo. Poi la conferma: la prossima seduta è fissata per il 6 settembre (curiosamente è un venerdì). Al netto di urgenze improvvise – e impreviste – i deputati possono partire tranquilli per le vacanze.
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Più fortunati i colleghi senatori, in ferie già da ieri dopo la definitiva approvazione del decreto svuota-carceri. Per tutti, l’appuntamento è a settembre. Non sarà un rientro facile. Tra ritardi e rimandi, il calendario delle prime sedute è fitto di provvedimenti. Temi spesso centrali. È il caso dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e della legge sull’omofobia. A Montecitorio si era certi di approvare le due norme entro la pausa, ma una serie di impedimenti hanno imposto lo slittamento a dopo le vacanze. Poi voto di scambio e diffamazione a mezzo stampa. Per non parlare della riforma costituzionale – a Montecitorio si partirà proprio da qui – e la nuova legge elettorale, a cui entrambi i rami del Parlamento hanno già accordato il procedimento d’urgenza. Come se non bastasse, dal 10 settembre l’aula di Palazzo Madama sarà impegnata con i disegni di legge di rendiconto e assestamento del bilancio dello Stato.
Intanto il giorno di Ferragosto la XVII legislatura compie cinque mesi. Il presidente del Consiglio Enrico Letta celebrerà l’anniversario a Palazzo Chigi. Anticipando di un giorno Laura Boldrini, ieri il premier ha confermato che anche il governo «non andrà in vacanza». C’è da preparare il Consiglio dei ministri del 23 agosto, in cui dovrebbe essere presentato un pacchetto di norme sui dipendenti pubblici. Soprattutto bisogna trovare un’intesa nella maggioranza sullo spinoso tema dell’Imu. Ma i giorni più caldi dell’anno saranno utili anche per fare un bilancio del lavoro svolto. Dall’insediamento dell’esecutivo lo scorso 28 aprile – solo due giorni fa Letta ha festeggiato 100 giorni a Palazzo Chigi – il Consiglio dei ministri ha deliberato una trentina tra decreti e disegni di legge. «Nove decreti legge – elenca oggi il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini – otto disegni di legge, cinque disegni di legge di ratifica, sei decreti legislativi»
Finora l’obiettivo è stato raggiunto. Anche grazie all’ultima accelerazione dei lavori parlamentari, i decreti in scadenza sono stati tutti convertiti. Dai provvedimenti meno recenti – come i pagamenti dei debiti della PA e la sospensione dell’Imu – fino agli ultimi su Eco-bonus e Ilva di Taranto. Alcuni sono stati approvati in queste ore: il decreto lavoro, lo svuotacarceri e il Fare. Restano in attesa dell’esame parlamentare gli ultimi due decreti approvati. Il provvedimento sul femminicidio, presentato ieri a Palazzo Chigi. E il decreto per la tutela, il rilancio e la valorizzazione dei beni e delle attività culturali, deliberato una settimana fa dal Consiglio dei ministri e presentato oggi a Montecitorio.
Arrivano la vacanze estive, ed è tempo di bilanci anche per le Camere. Stamattina l’ultima seduta di Montecitorio si è chiusa con qualche polemica. I deputati del Movimento Cinque Stelle si sono lamentati per l’abuso della decretazione d’urgenza del governo. Una compressione delle prerogative del Parlamento che finisce inevitabilmente per essere «esautorato», si è lamentato Alessandro Di Battista. «Perché la Costituzione dice questo: l’attività legislativa appartiene al Parlamento. E invece in questi primi sei mesi non abbiamo approvato nessuna legge di iniziativa parlamentare». Una forzatura? La realtà non è poi così distante da quanto denunciato. Stando ai dati del dipartimento della Presidenza del Consiglio per i Rapporti con il Parlamento, su 76 disegni di legge di iniziativa parlamentare esaminati dalle Camere dall’inizio della legislatura, ne sono stati approvati definitivamente solo un paio.
Questo non significa che i parlamentari sono rimasti cinque mesi senza fare nulla. Alcune statistiche aiutano a farsi un’idea del lavoro svolto tra Camera e Senato. A fine luglio a Montecitorio si erano tenute 59 sedute, per un totale di circa 300 ore di lavoro. In Aula i deputati sono stati impegnati in oltre 600 votazioni, dopo aver presentato quasi 2.500 emendamenti e più di 500 ordini del giorno. Circa 1.400, invece, i progetti di legge di iniziativa parlamentare depositati dall’inizio della legislatura. Una media di 2,2 a deputato. All’Aula vanno aggiunti i lavori in commissione. Fino alla scorsa settimana si erano tenute almeno 700 sedute formali. Più o meno 550 ore di lavoro. Più 300 ulteriori sedute dedicate ad altre attività (dalle audizioni informali agli uffici di presidenza). Per un totale di oltre 1.000 sedute e 750 ore di lavoro.
A Palazzo Madama le cifre sono più o meno le stesse. Fino ad oggi l’assemblea è stata impegnata in 87 sedute, per complessive 229 ore e 22 minuti di lavoro. A queste vanno sommate le 473 sedute delle commissioni, per un totale di 445 ore. Più alto il numero di disegni di legge presentati da ogni senatore. In cinque mesi ne sono stati depositati 954 in tutto, una media di circa tre provvedimenti per ogni eletto.
Il governo lavora, il Parlamento anche, eppure spesso mancano le occasioni di confronto. Così almeno sembra, a giudicare dalle lamentele dell’opposizione e dalle statistiche sugli atti di sindacato ispettivo di Montecitorio. Quando i gruppi parlamentari chiamano, l’esecutivo non risponde. I dati presentati dagli uffici della Camera sono piuttosto evidenti: su un totale di 2.635 atti presentati, l’iter è stato concluso solo nel 20,27 per cento dei casi.
In dettaglio, è stata data risposta solo al 51,53 per cento delle 163 interpellanze presentate. A fronte di 236 interrogazioni a risposta orale, il rapporto tra atti presentati e conclusi è fermo al 46,19 per cento. Ancora più bassa la percentuale delle interrogazioni a risposta in commissione. Ne sono state depositate 765, ma hanno concluso il proprio iter solo il 33,73 per cento. Persino peggio le interrogazioni a risposta scritta. In questo caso il governo ha risposto al 5,64 per cento dei 1.471 atti presentati. Le cose non vanno meglio a Palazzo Madama. Al 26 luglio scorso, gli atti conclusi erano meno del 10 per cento rispetto a quelli presentati.