Neanche ventiquattro ore. Il governo Letta inizia a scricchiolare quando non è passato neppure un giorno dalla sentenza della Cassazione. Giovedì sera la Suprema Corte confermava i 4 anni di condanna a Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Venerdì si consuma lo strappo nella maggioranza. L’ultimatum all’esecutivo arriva verso l’ora di cena, quando il Cavaliere annuncia che senza una riforma della giustizia il Pdl è pronto alle elezioni.
La strategia è stata evidentemente studiata con cura. E si compone di altri due passaggi. Mentre il segretario Angelino Alfano conferma che «i ministri del Pdl sono pronti a dimettersi», il presidente dei senatori Renato Schifani rilancia: «Io e Brunetta ci muoveremo a breve per ottenere da Napolitano il ripristino dello stato di democrazia che questa sentenza ha alterato». Tradotto: a breve i due capigruppo si recheranno al Colle per sottoporre a Giorgio Napolitano la grazia al Cavaliere.
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La minaccia al governo è servita. Fin dal dopo sentenza – prima parlando allo stato maggiore del Pdl, poi in un lungo videomessaggio – il Cavaliere aveva fatto capire di non aver alcuna intenzione di arrendersi. Nessuna voglia di fare un passo indietro. Oggi la conferma durante l’incontro serale a Montecitorio con i due gruppi parlamentari del Pdl.
Si alza la tensione sul già traballante esecutivo di Enrico Letta. La posizione del Popolo della libertà è di aperta sfida. Incontrando i suoi deputati e senatori Berlusconi pone una condizione imprescindibile. Senza una riforma della giustizia, il governo è destinato a cadere. Nessuna accelerazione improvvisa, certo. Ma l’obiettivo ormai è indicato. «Non credo che dovremmo andare verso una soluzione immediata – le sue parole – ma riflettiamo su qual è la strada migliore per ottenere le elezioni e vincerle».
Nei prossimi giorni, Brunetta e Schifani saliranno al Quirinale per caldeggiare la grazia al Cavaliere (ipotesi che in serata ha spinto il Colle a diramare un freddo comunicato). Tra le mani dei due capigruppo – ulteriore forma di pressione – ci saranno le dimissioni dei quasi 200 parlamentari del Pdl. «E se alla nostra richiesta di grazia non ci fosse risposta positiva, tutti sappiamo quello che occorre fare: difendere la democrazia nel nostro Paese», ha spiegato durante il vertice a Montecitorio Brunetta.
E così la riunione tra Berlusconi e i parlamentari pidiellini finisce per diventare la cornice di una dichiarazione di guerra. Che il clima sia surriscaldato lo si capisce quasi subito. Neanche il tempo di entrare nella sala dei gruppi e il Cavaliere viene accolto da una lunga ovazione. «Ricorderò questo applauso per tutta la vita», ammette. Tra i presenti più di qualcuno racconta l’evidente emozione sul viso dell’ex premier. La stessa già malamente celata durante il videomessaggio con cui ieri sera aveva rotto il lungo silenzio per commentare la sentenza della Cassazione. È probabilmente il momento più difficile della sua lunga carriera politica. A breve la condanna nel processo Mediaset rischia di allontanarlo dalle aule parlamentari. E forse, ancora peggio, di chiudere per sempre un’epoca.
Eppure Silvio Berlusconi è deciso a non farsi da parte. La pronuncia della Cassazione – raccontano – lo ha convinto ancora di più a resistere. La rabbia non è ancora sbollita, ecco perché il suo breve discorso davanti ai gruppi parlamentari inizia proprio con un attacco alla magistratura. Il vecchio cavallo di battaglia. Il Cavaliere parla del «fango» gettato addosso in questi anni alla sua persona e alla sua famiglia. Si sofferma sulle tappe della lunga persecuzione. Fino alla sentenza Mediaset, «basata sul nulla, solo per eliminarmi dalla scena politica».
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E dire che lui ci aveva anche provato a farsi da parte. Poi, nell’ultima fase del governo Monti, i sondaggi in discesa del Pdl e le insistenze del segretario Angelino Alfano lo hanno costretto a tornare sul palcoscenico. Così almeno racconta davanti ai fedelissimi. Il finale è quasi inatteso e suona come una provocazione al Partito democratico. La riforma della giustizia non solo è necessaria, ma deve diventare la priorità della maggioranza. «Non possiamo sottrarci al dovere di una vera riforma della giustizia, per questo siamo pronti alle elezioni». In ogni caso, «riflettiamo su qual è la strada migliore per ottenere le elezioni e vincerle». Parole a cui il segretario del Pd Guglielmo Epifani ha replicato con durezza: «Pressioni indebite su Napolitano. La riforma della giustizia che vuole il Pdl, se la scordi»
Solo poche ore prima il premier Enrico Letta, incontrando nella sala del Mappamondo i parlamentari di Scelta Civica, aveva tentato di blindare il governo. «Sarebbe un delitto mettere a rischio adesso la stabilità», le sue parole. Proprio ora che iniziano a vedersi «i primi segnali di ripresa».
E così la parola passa a Giorgio Napolitano, ancora una volta. I capigruppo pidiellini Schifani e Brunetta dovrebbero salire al Colle a breve, compatibilmente con l’agenda del capo dello Stato. Terminata la vacanza di due settimane in Alto Adige, domani sera Napolitano farà ritorno nella Capitale. Chissà che non sia costretto a riprendere il lungo e faticoso lavoro di mediazione già domenica mattina. Di sicuro viene fatto filtrare dagli ambienti del Quirinale il no alla grazia. I soggetti non sono titolati a richiederla e in ogni caso serve almeno una parte di espiazione della pena. Altrimenti sarebbe una grave delegittimazione della Corte di Cassazione.