Sono le vittime sconosciute del decreto anti-corruzione. I politici già costretti al passo indietro in virtù della norma voluta dall’ex ministro Paola Severino. Due Silvio Berlusconi sconosciuti al grande pubblico, anche se probabilmente entrambi rifiuterebbero con sdegno il paragone. Il primo, Marcello Miniscalco, segretario socialista del Molise, è finito sotto i riflettori un paio di giorni fa. Quando il senatore Riccardo Nencini ha annunciato un’interrogazione parlamentare per sollevare il suo caso. L’altro si chiama Andrea Alzetta, detto Tarzan. Esponente di Sel, in primavera è stato eletto consigliere comunale a Roma con quasi duemila preferenze. E subito dichiarato “non proclamabile” dalla Corte d’appello.
La politica scopre la normativa anticorruzione, nel Palazzo si dibatte da settimane sulla possibile decadenza del Cavaliere. Ma Silvio Berlusconi non è la prima vittima del decreto Severino. «Marcello Miniscalco è un imprenditore come Berlusconi, ma non ha la sua stessa “forza”», ha denunciato l’altro ieri il segretario Psi Riccardo Nenecini. La vicenda del politico molisano è recente. «Nel gennaio scorso, candidato nel listino del presidente Frattura alle elezioni regionali, venne dichiarato incandidabile prima ancora che si aprisse la campagna elettorale, con una solerzia che vide protagoniste diverse forze politiche regionali, Pdl incluso».
A raccontare i dettagli è lo stesso Miniscalco, in un’intervista a Repubblica. Nel 1995 quando era sindaco del comune di Rocchetta al Volturno, non concesse l’autorizzazione per un comizio. Condannato nel 2001 per abuso d’ufficio, quest’anno si è visto negare un seggio in consiglio Regionale. «La Corte d’appello – le sue parole al quotidiano romano – sulla base della legge Severino mi giudica incandidabile. Per paradosso avrei potuto farmi eleggere in Parlamento, ma non per la Regione: in questo caso è sufficiente una qualsiasi condanna, anche a un solo giorno, e soprattutto l’incandidabilità vale per sempre».
E a nulla sono serviti i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, sempre appellandosi al principio che il decreto non può essere retroattivo. I giudici amministrativi hanno sempre dato torto al politico socialista. Nencini conferma: «La legge cui si fece riferimento è la stessa della quale si discute in queste ore. Scrisse Nenni: “Spesso la legge italiana è debole con i forti e forte con i deboli”».
Miniscalco non è l’unico ad aver preceduto il Cavaliere. Circa una settimana fa il presidente della giunta per le elezioni del Senato, Dario Stefano, ha ricordato a Radio Capital un altro precedente. Quello del suo collega di partito Andrea Alzetta, già consigliere comunale a Roma per Sel. Eletto alle ultime amministrative con quasi duemila preferenze, ma dichiarato “non proclamabile” dopo l’applicazione della discussa legge Severino. Sulla rete si trova ancora uno sfogo del consigliere, appena venuto a conoscenza della sua esclusione dal Campioglio. «È un paradosso – le sue parole – Usano una virgola del decreto anti-corruzione per tenere me fuori dal Campidoglio e Berlusconi invece è eleggibile. È un Paese strano questo, poi si stupiscono se la gente non va più a votare. Quella pena fu sospesa e non ho mai avuto l’interdizione dai pubblici uffici».
Rispetto alla vicenda del socialista Miniscalco, in questo caso il reato è ancora più lontano. Una condanna per incidenti di piazza del 1996, relativa a una manifestazione di sei anni prima (ormai ventitré anni fa). «L’esclusione di Andrea Alzetta dal consiglio comunale di Roma – la denuncia all’epoca di Paolo Cento e Elettra Deiana, esponenti del coordinamento nazionale di sinistra Ecologia e Libertà – è inaccettabile e conferma ancora una volta l’iniquità delle norme sull’ineleggibilità proposte dal governo Monti e votate nella scorsa legislatura». Chissà se Silvio Berlusconi stavolta è d’accordo con loro.