«Il Marocco è la Germania del Nord Africa. Pensi che per gli operatori il problema principale è una crescita “solo” del 5% l’anno, rispetto ai ritmi del 10% cui il paese era abituato». A parlare è Marco Bondi, dell’azienda “BLB Group”, specializzata in impiantistica industriale. Bondi sostiene di aver trovato nel Paese maghrebino «un contesto all’avanguardia rispetto al resto della regione. Con la relativa stabilità politica – le rivolte hanno riguardato il paese solo marginalmente – il Marocco può servire da base per le attività non solo sulla costa mediterranea, ma anche in Africa Subsahariana». È anche per questo che, recentemente, la sua azienda si è espansa anche in Senegal.
Prima della crisi, il Marocco era riuscito a far segnare livelli di espansione su base trimestrale anche del 14 per cento. Nel 2009 c’è stato un netto rallentamento, con il periodo peggiore rappresentato dai due apici delle rivolte arabe – il 2010 e il 2012 – sempre però con crescita superiore al 2 per cento. Quest’anno nel secondo trimestre lo sviluppo è tornato quasi al 5 per cento. Spiega Silvia Giuffrida, direttrice dell’Ufficio Ice di Casablanca, che «la differenza del Marocco è stata rappresentata dalla lungimiranza politica del re, il giovane Mohammed IV. Sono stati definiti piani di sviluppo che riguardano diversi settori dell’economia e del sociale, con prospettive di lungo termine. Inoltre, il Marocco si è aperto con vigore al commercio internazionale, con un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, e un accordo di “associazione” con l’Unione Europea, in vigore già dal 2000».
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A osservare i dati, si possono rintracciare in Marocco alcuni elementi del modello di sviluppo dei grandi paesi emergenti – sia come vantaggi, che come svantaggi. Le liberalizzazioni economiche e l’apertura agli scambi sono iniziate nei primi anni Duemila. In contemporanea, il tasso di riferimento della Banca centrale marocchina è stato dimezzato, passando dal 6% del 1999, all’attuale 3% – ed è da dieci anni che non sale sopra al 3,5 per cento. Con questo sistema, l’economia ha subito un’accelerazione improvvisa, grazie soprattutto alle esportazioni, triplicate negli ultimi dieci anni fino a oltre 22 miliardi di dollari.
Se il Paese è riuscito a sopravvivere pressoché indenne alla crisi, ciò è stato anche grazie all’idea statale di adottare una soluzione “alla cinese”: proseguire nel deficit spending. Sono stati annunciati immani programmi d’investimento infrastrutturale, per un totale stimato in circa dieci miliardi di euro, destinato alla costruzione di porti e aeroporti, autostrade, tunnel (anche sotto una casbah), ferrovie, dighe, ospedali, scuole, centri per il trattamento di rifiuti e impianti elettrici. Non si può trascurare, però, che tutto sta avvenendo alle spese di un deficit statale in aumento: nel secondo trimestre del 2012 il saldo delle finanze statali marocchine è stato del 7,6 per cento.
Ci illuderemmo quindi se pensassimo che il Marocco sia uscito indenne dalla crisi. Il livello di crescita raggiunto nel secondo trimestre del 2013, al 4,8%, è paragonabile a quello del 2009, ma allora il bilancio statale era in surplus (+1,2%) e il tasso di riferimento della banca centrale era leggermente più alto. Il governo sta portando avanti piani di sussidi su carburanti e alimentari, conscio del fatto che il modello “cheap-credit / high exports” può avere effetti dalla gestione difficile sulla polarizzazione dei redditi.
È forse anche per questo motivo che il Marocco è alla ricerca di nuovi partner commerciali, anche per diversificare rispetto alla presenza storica di Spagna e Francia. L’interesse degli investitori italiani è ancora debole – almeno secondo alcune voci raccolte tra gli imprenditori attivi nel Paese. Chi volesse tentare l’avventura dispone peraltro di una rete di sostegno nel Paese con pochi eguali al mondo. Alcune banche italiane hanno filiali nelle principali città, e l’Ufficio Ice offre un servizio di “verifica dell’attendibilità” delle referenze professionali di eventuali partner locali (la validità del servizio è stata confermata dagli imprenditori intervistati).
Come in tutti i Paesi emergenti, però, tante prospettive e la possibilità di elevati ritorni economici avvengono al costo di qualche rischio. Alcuni operatori italiani agiscono perciò con una logica di sviluppo della propria presenza in base alle commesse. Si citano spesso alcuni vantaggi dell’attività nel Paese – tra cui una forza lavoro dalla preparazione superiore rispetto alle medie regionali. Il Paese deve però ancora raggiungere dal 2009 la vera stabilizzazione economica – visto che il debito pubblico è passato dal 48% del Pil nel 2010 (ed era in riduzione da quattro anni), al 56% nel 2013.
Il pericolo più imminente sembra perciò essere di tipo valutario. Finora il tasso di cambio tra la valuta nazionale, il dirham, e l’euro, è rimasto stabile – proprio grazie a operazioni di controllo del tasso di cambio, introdotte dalla banca centrale marocchina (visto che l’area euro rappresenta di gran lunga il maggior partner commerciale del paese). Ma che succede se il Marocco si dovesse mai trovare nelle condizioni di dover svalutare per stimolare l’economia? Per ora, il governo si è limitato a moderare le ambizioni in tema d’investimenti: in aprile ha sospeso 1,75 miliardi di dollari di piani d’appalto. Gli investimenti diretti dall’estero sono in declino (-11,8% quest’anno) e qualche voce critica dalle facoltà di economia marocchine segnala una diminuzione delle riserve di valuta estera (circostanza che rende più urgente il rischio di una svalutazione). Quest’ultimo dato sembra essere il più preoccupante: «I prodotti del paese non riescono a fare breccia nei mercati internazionali», sostiene il professor Abdettalif El Atrouz della facoltà di finanza pubblica di Marrakech, «e l’aumento dei costi energetici ha peggiorato il saldo della bilancia commerciale».
Gli investitori sono coscienti della situazione complessiva del Paese. Lo stesso Bondi sostiene correttamente che «qualsiasi attività all’estero presenta rischi», e il mero fatto di operare in un paese estero – pur se in sviluppo come il Marocco – non è garanzia di successo. L’azienda di Bondi cui fa parte sta riuscendo a ricavarsi credibilità con alcune commesse vinte, e anche conservando una visione non solo orientata al Paese maghrebino, ma a tutta l’Africa e al Medio Oriente. Tra piani quinquennali, relativa coesione politica, sicurezza e aspirazioni di modernità («Marrakech e Casablanca sono città occidentali», ha sostenuto un imprenditore intervistato), il Marocco può ancora rappresentare una buona opportunità per le imprese italiane. Del resto, è promessa di re.
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