Nordest, dove resiste l’industria elettronica italiana

Un’eccellenza atipica

Ora che tutto deve farsi grande, e bisogna dimenticare il fallito sistema produttivo Piccolo-è-bello, per parlare di export, internazionalizzazione, aggregazioni, ammodernamento della governance, addirittura di (ri)start-up, si fa fatica a trovare qualcuno che voglia fare un viaggio a ritroso, nella memoria, quando i veneti venivano chiamati i “cinesi d’Italia” e la magia delle loro produzioni nascevano negli scantinati, o in modeste officine con un datore di lavoro e magari solo due dipendenti.

Eppure dentro l’ebollizione del Veneto in crisi, del Nordest in guerra con il mondo, il proprio e altrui, che si evolve o cerca di navigare a vista, sì, ma guardando lontano, c’è chi ne fa ancora un vanto, ricordando la storia della propria azienda. Come fa Paolo Bello, presidente di Elettronica Veneta, che a Motta di Livenza, ai confini con il Friuli, progetta, costruisce e vende laboratori didattici per licei, università e istituti tecnici. Dove oggi il team dei manager proviene dai cinque continenti. E deve combattere contro i limiti della riforma mancata degli istituti tecnici, perché «Gli italiani vogliono diventare tutti dottori», ironizza Giacomo Fregonese, direttore generale di Elettronica Veneta.

Dottori in scienze politiche, si intende, perché qui vengono a lavorare fisici, biologi, chimici, ingegneri, quasi tutti stranieri, e anche saldatori, nei reparti, che sono sloveni, perché nonostante la crisi «ci sono ancora quei lavori che gli italiani non vogliono fare», sottolinea Fregonese, che affianca Paolo Bello nella gestione di Elettronica Veneta.

 
La prima puntata

Dentro un lungo capannone costruito con vetri colorati, che si affaccia su un vigneto, di serena bellezza bucolica, ma in piccola scala. Qui dentro, dove si progettano laboratori didattici che finiscono soprattutto in Africa, nel Maghreb, in Asia, in Medioriente, è tutto costruito su piccola scala: ascensori, impianti idraulici ed elettrici, sistemi software per schede magnetiche, sistemi radar per la navigazione marittima. E ancora: depuratori, pannelli solari, frigoriferi, e simulatori di impianti frenanti automobilistici, sia per modelli Fiat sia, soprattutto, per la Renault o la Toyota, che (in)seguono i mercati esteri emergenti.

La lista delle eccellenze tecnologiche di Elettronica Veneta è lunga, mentre la lista dei tecnici o della mano d’opera qualificata che voglia essere formata dai docenti che vengono fin quassù, a studiare, nel Veneto orientale, lungo gli argini del fiume Livenza, invece è molto corta. Ed ecco perché, dopo il taglio del budget per i laboratori didattici nelle scuole italiane, nel 1993, Elettronica Veneta, è andata all’estero. Ma solo per vendere i propri laboratori, «Perché noi non vogliamo delocalizzare la produzione, né limitarci a fare assemblaggio», dice e ribadisce con enfasi il paròn, Paolo Bello. Anche a costo di ridurre i ricavi dei 15-20 milioni di fatturato, che si producono ogni anno insieme alle loro diavolerie tecnologiche, loro non mollano.

E continuano a lavorare, grazie a commesse pubbliche, o a gare internazionali in 135 Paesi. Per continuare a essere leader mondiale, nella didattica elettronica, visto che il loro unico vero competitor è tedesco. Un mercato di nicchia, atipico, che deve fare i conti con le storture del sistema scolastico italiano, visto che le commesse italiane per i laboratori rappresentano solo il 20% del loro fatturato. Anche  se, paradossalmente, i loro gioielli in miniatura arrivano soprattutto nelle scuole del Sud, dove, grazie ai fondi europei, si spende di più per la formazione di tecnici per aziende che non ci sono, mentre al Nord arriva poca richiesta dalle scuole per formare i tecnici per aziende che invece cercano, senza trovarla, mano d’opera qualificata.

La seconda puntata

E allora per fortuna, superata la crisi aziendale nel 1993, quando le commesse, allora soprattutto italiane, sono crollate a causa dell’eliminazione degli acconti per acquisti in conto capitale nelle scuole, Elettronica Veneta è ripartita. Grazie a un processo di internazionalizzazione. E oggi, nonostante le difficoltà da affrontare per stare a galla, ma un fatturato in aumento previsto nel 2013 “perché in qualche Paese abbiamo battuto i tedeschi”, aggiunge ancora il presidente Paolo Bello, con sussulto patriottico, qui si continua a fare manifatturato di nicchia, parola magica, e non solo nel Nordest, quando si vuole trasmettere o rappresentare il proprio quid imprenditoriale.

Decisi a continuare a progettare e costruire laboratori didattici per affinare cervelli, dove non importa, il mondo per fortuna è grande. In un’azienda che sembra, a sentir loro, anche una missione, oltre che un continuo studio per essere all’altezza della gara tecnologica, che non può fermarsi mai. Anche se poi magari, per trovare un bravo ingegnere elettronico, lo si va però a prendere in India, perché sono pochi quelli che vogliono venire a lavorare quassù, ai confini col Friuli.

Twitter: @GiudiciCristina

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