Perché Vittorio Sgarbi, anche quando insulta, è geniale

Il critico d’arte e politico

Dottor Sgarbi e Mr. Hyde. Conosco Vittorio Sgarbi da tanti anni, ma mai come in questa settimana ho avuto modo di misurare la potenza deflagrante dei due demoni che albergano nel suo corpo. È successo infatti che in pochi giorni abbiamo avuto ospite Sgarbi a In Onda per due lunedì di seguito. Nel primo lunedì lo abbiamo invitato a discutere della fenomenologia di Silvio Berlusconi; nel secondo dell’itinerario di Cristo nella storia dell’arte (malgrado quello che potrebbe sostenere Sandro Bondi si trattava di due temi che non hanno nulla in comune), a partire dal suo bellissimo libro, “Nel nome del figlio”.

Apparentemente si trattava di una persona sola, ma gli Sgarbi che abbiamo mandato in onda sono stati due: due diverse incarnazioni dello stesso uomo che peró non avevano davvero nulla in comune tra di loro. Entrambi hanno prodotto un pioggia di mail e di commenti che hanno intasato la mia casella e l’hashtag del programma su Twitter. Nel primo caso decine e decine di insulti (con qualche sparuta opinione controcorrente). Nel secondo decine e decine di complimenti (con qualche irriducibile ma isolato bastian contrario). Possibile? Sì.

Perché i due Sgarbi andati in In Onda in otto giorni apparentemente non hanno effettivamente nulla in comune, se non il corpo che li ospita. Eppure, a costo di venire di nuovo coperto di ingiurie dirò subito che erano entrambi geniali. Nel primo caso Vittorio sembrava una via di mezzo tra un inferocito Savonarola e uno sboccatissimo Lenny Bruce. Nel secondo, l’incrocio tra un novello maestro Manzi del terzo millennio, e un oratore straordinariamente avvincente nel suo mestiere di critico, capace di tratteggiare un itinerario interpretativo attraverso trenta quadri e quattrocento anni di storia dell’arte.

Il talento di Vittorio non è nel conoscere le cose (circostanza che lo unisce a decine di colleghi) ma nella capacità di essere avvincente e chiaro per chiunque. La stessa idea di fare la puntata mi era venuta dopo che avevamo presentato il suo libro nella meravigliosa cornice di Polignano a Mare, e lui, senza una sola immagine di supporto, sostenuto dal solo potere della parola, aveva tenuto avvinte duemila persone in piazza fino all’una di notte, accompagnando la descrizione dei quadri e la loro analisi. Ho pensato lì che portare questo spettacolo in tv sarebbe stato un buon azzardo.

Ma partiamo dal punto più critico, lo Sgarbi delle ingiurie. La puntata che ha creato scandalo, infatti, quella in cui Vittorio si è prodotto in una performance di turpiloquio da Guinness dei primati (posso rivelare che abbiamo dovuto tagliare dieci minuti, e per fortuna che, caso rarissimo la puntata era registrata) era secondo me a livelli di pop art. Conosco bene l’’insofferenza del pubblico quando Vittorio parte con le sue invettive, i suoi tic e i suoi improperi, conosco benissimo il moralismo di sinistra (e di destra) contro “chi dice parolacce in tv”, ma confesso che io a volte rimango ipnotizzato: in Sgarbi la parolaccia diventa strumento ritmico, suono, percussione, secondo me è una forma anomala di rap.

Comunque era successo questo: avevamo chiamato Vittorio a discutere di Berlusconi, e due giovani firme di segno opposto al suo. A Milano, Marianna Aprile di Oggi e a Roma David Perluigi de il Fatto Quotidiano. Sulla carta ci immaginavamo una sorta di processo ai processi del Cavaliere, con Sgarbi nei panni del l’avvocato difensore, e i due giovani giornalisti di sinistra trasformati per un attimo in pubblico ministeri: una polarizzazione forte, certo, ma (speravamo) avvincente e civile . Nulla di quello che ipotizzavamo è accaduto. Sgarbi ha iniziato a parlare di Berlusconi, per dieci minuti, con una difesa assai strana e parossistica, anzi, una non-difesa a dir poco spiazzante. Sosteneva infatti che Berlusconi era innocente sul piano dei reati, soprattutto nel caso del processo Ruby («È Innocente come Pasolini») e però colpevole sul piano politico («Il centrodestra non esiste, il centrodestra è il nulla, Berlusconi è comico, consigliarlo è inutile, Alfano pericoloso, Forza Italia una merda», alé). Ma siccome Sgarbi è Sgarbi, ed agisce esattamente come quei miniaturisti che lasciano sempre la loro firma nel quadro, alla fine del suo primo intervento, non si capisce perché, decide di infilare dentro al suo ragionamento una invettiva contro Enzo Biagi. Intendiamoci: Biagi non è un santo, si può criticare, ma era curioso che Sgarbi lo collegasse al processo Ruby chiedendosi perché Berlusconi e Pasolini siano stati processati «e Biagi no». E aggiungendo anche che l’editto bulgaro «A Biagi lo ha fatto diventare ricco».

Ho fatto resistenza a queste due provocazioni, e poi ho dato la parola a Perluigi. David, con una freddezza che in lui – giornalista solitamente gioviale – non immaginavo, si era legato al dito le battute su Biagi e ha colpito con esattezza da killer: «Quella di Sgarbi per Berlusconi è solidarietà fra condannati. Infatti lui è stato condannato per assenteismo…». Apriti cielo. Sgarbi ha sbuffato una nuvoletta come i personaggi della Disney, e da quel momento è stato un diluvio: «Salame! Ignorante! Rotto in beep!».

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Il secondo Sgarbi – invece – è arrivato in largo anticipo, si è infilato nei sotterranei de La7 come se fosse casa sua, ha fatto simpaticamente impazzire la nostra assistente di regia, a cui chiedeva di aggiungere in memoria quadri quadri e quadri da poter poi illustrare durante il programma. Così come lo Sgarbi dell’invettiva ha bisogno di addizionare insulti su insulti per dare spessore drammatico al suo discorso, lo Sgarbi della divulgazione ha bisogno di addizionare immagini su immagini, per dare profondità al suo racconto. In questo suo bisogno di assoluto, giocoso, entusiasta, persino bambinesco, Vittorio è capace di comunicare entusiasmo, a un’intera redazione: «Mettiamo la Madonna di Ognissanti di Giotto, perché il bambino è la fotocopia di Enrico Mentana», «Mettiamo il Cristo Che piange sangue del Beato Angelico!», «Mettiamo anche il Cristo che diventa uomo di Piero della Francesca, e si arruola nella storia con il vessillo in mano!», «Mettiamo il Gesù iperrealista di Caravaggio, e spieghiamo la differenza tra le due cene in Emmaus», «Mettiamo pure il Cristo di Mantegna che diventa ogni uomo, sul tavolo dell’obitorio, e già che ci siamo mettiamoci a fianco anche il Che Guevara sul tavolo dell’obitorio della Higuera in Bolivia, e già che ci siamo, mettiamo il quadro di Colìn che fonde il Cristo del Mantegna e il Guevara della Higuera e spieghiamo che sono la stessa cosa». Per dire: in trasmissione aggiungerà che è criminale togliere il crocifisso dalle aule scolastiche, anche per i laici, ma aggiungerà anche che in quelle aule, per il principio artistico transitivo fissato da Colìn «Nelle aule si potrebbe mettere anche Che Guevara». Alla fine la prima puntata ha fatto il 4.70% di share e la seconda il 3.37 per cento. È ovvio che quel secondo risultato per me vale come e più del primo. Ma è anche altrettanto ovvio che non si tratta di due Sgarbi diversi: Jeckill e Hide sono la stessa persona, ed esprimono lo stesso talento: «Capra, Capra, capra!».

Post scriptum: sapete come nasce Capra-Capra-Capra, e perché? «Ho più volte dato del somaro a dei noti somari, e non c’è nulla da fare, i tribunali ti condannano perché ci ravvisano un intento offensivo». E in capra, invece? «La capra no, la capra ha una valenza indubbiamente positiva». Prima di Sgarbi, ovviamente.

Twitter: @lucatelese

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