Ateismo: Francesco scrive a Scalfari, Scola ai milanesi

La rubrica "Il Genio del Male"

L’assunto dell’arcivescovo di Milano secondo cui la terra ambrosiana correrebbe il rischio di aderire ad un ateismo “anonimo” suona a dir poco qualunquista. 

In prima battuta non si può non notare il riferimento a Karl Rahner e ai termini con cui uno dei più importanti teologi del Novecento qualificava, non senza fraintendimenti, un accesso naturale alla fede nei termini di una filosofia trascendentale. Negando una tale ingenua possibilità fino a rovesciarla, Scola giunge alla conclusione che l’uomo milanese sta diventato strutturalmente chiuso alla Rivelazione. E non quindi aperto ad essa.

Fa specie che un arcivescovo proveniente dal mondo accademico come Scola vada a recuperare un sintagma già ampiamente criticato dalla teologia, la quale trovava difficile la qualificazione di un cristianesimo “anonimo”.

In aggiunta l’ateismo era, e rimane oggi, un concetto ancora troppo impreciso. Se infatti, nella scia di Bloch, intendiamo per ateismo il rifiuto di ridurre Dio ad un concetto – a qualcosa cioè che si può esprimere in modo compiuto – esso risulta perfino un atteggiamento autenticamente cristiano.

C’è fin troppa gente (a Milano) che conosce perfettamente cosa pensi Dio. Mentre dietro a molta diffidenza verso un modo sbrigativo di parlare di Dio si nasconde una preziosa istanza atea, esprimibile con le parole di Ivan K.: «Io credo in Dio ma rifiuto il suo mondo». In tante forme di ateismo è nascosta in modo germinale l’intuizione radicale che Dio non può essere manipolato e banalizzato.

Ora: conoscere il tasso di ateismo del milanese ci darebbe una stupenda mappatura della fede ambrosiana e della sua attuale consapevolezza. Sarebbe bello, ma impraticabile. Anche per il vescovo di Milano. Che rispondere quindi a Scola? Che l’idea era buona. Ma il sintagma andava rovesciato e riformulato in questo modo: «Milano è una città anonima. D’accordo. Ma non ancora sufficientemente e consapevolmente atea»

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