Quello di Marshall McLuhan in Io e Annie (1977) è uno dei camei più fulminanti del cinema di Woody Allen. La sequenza è statica, Alvy e Annie sono in coda al cinema. Alle loro spalle, un uomo pontifica ad alta voce. Occhiali, aria saccente, ne ha per tutti: Fellini («il suo ultimo film è mancante di strutture coesive»), Samuel Beckett e, pure, contro il sociologo canadese padre del «villaggo globale». Si scopre presto che l’uomo tiene un corso alla Columbia University di «tv, media e cultura». Alvy/Allen è sempre più insofferente nell’essere obbligato ad ascoltare le tesi del rumoroso vicino di coda. Che fa, allora, dopo aver sbottato guardando in macchina? Allen trascina in campo un quasi metafisico McLuhan, nascosto dietro a un manifesto cinematografico: «Ho sentito quello che lei ha detto, beh lei non sa niente del mio lavoro, lei sostiene che ogni mia topica è utopica, come sia arrivato a tenere un corso alla Columbia è cosa che desta meraviglia».
Trentasei anni dopo, Derrick de Kerckhove, allievo ed erede del grande massmediologo, fa la stessa reprimenda di Allen a Beppe Grillo: «Ha capito molto dell’uso della rete, ma non ha letto McLuhan, che diceva “una volta che sei alla televisione, càlmati”. Così facendo Grillo ha perso un’opportunità importante. Il suo eterno gridare non aiuta la sua immagine pubblica».
De Kerckhove non ha l’aria da guru, etichetta che sempre gli viene affibbiata. Almeno non di quelli che si sentono perennemente sull’Olimpo. Battuta pronta, occhi azzurri fulminei e sguardo rivolto al futuro, è da decenni uno degli intellettuali più influenti sui temi della rete e sui rapporti fra mente e nuove tecnologie. Sociologo e filosofo, ha diretto dal 1983 al 2008 il programma McLuhan in cultura e tecnologia all’Università di Toronto. Ora, insegna Sociologia della cultura digitale all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Belga naturalizzato canadese, è stato recentemente ospite a Trento, la Silicon Valley delle Alpi (il 2% del pil investito in ricerca e sviluppo), per la conferenza internazionale sulle smart cities e i servizi intelligenti, Digital Cities of the Future, organizzata dal polo dell’innovazione Trento Rise con l’Osservatorio Smart Cities dell’Anci, il Consorzio dei comuni trentini e Eit Ict Labs Italy (nodo italiano del Mit d’Europa). Un confronto sulle migliori esperienze nazionali ed europee.
Quale posto occupa l’Italia nel villaggio globale? Vive tecnologicamente, secondo de Kerckhove, una situazione complessa, tra ritardi e avanguardie, in bilico tra una classe politica inadeguata e sorda, che preferisce limitare il wifi, e gruppi d’artisti che da anni sperimentano attraverso la rete. Sono stati i primi a far capire l’importanza di essere connessi. Cosa caraterizza una città smart? «La prima discriminante è la tecnica – fino a che punto la rete si protende dentro la città – ma conta anche la volontà dei sindaci, al Nord come al Sud».
«Il telegrafo è stato il primo passo verso internet» dice de Kerckhove. «Oggi, siamo a metà della rivoluzione di internet, nuovo Rinascimento dell’umanità». Per non farsi sorprendere bisogna, però, conoscerne la natura. Sapere che l’elettricità va verso la trasparenza (vedi i Big data). «L’elettricità di per sé non è democratica ma fascista», tocca all’uomo gestirla, governarla.
L’intuizione di McLuhan «Il medium è il messaggio» è ancora valida? Quale destino delle relazioni umane in un mondo sempre più connesso?
«Napoli è il mio rientro in Europa. È avvenuto nel 2004 attraverso un progetto di rientro dei cervelli, che mi ha fatto sentire un po’ italiano». Gli studenti? «Meglio napoletani che canadesi».