Se intorno al caso Barilla sta scoppiando una guerra civile, come minimo dovremmo riflettere.
Forse la prima considerazione da fare è questa: Guido Barilla e la sua azienda pagheranno un prezzo salatissimo per alcune frasi improvvide e senza senso (per me la peggiore è: “Se ai gay questa comunicazione non piace mangeranno un’altra pasta”).
Ma Barilla e la sua azienda pagheranno anche – va detto – per colpe più grandi di loro. Non è colpa della Barilla – infatti – se siamo tutti incazzati, se i gay spesso sono discriminati, se viviamo in un paese in cui conformismo, conservatorismo e sessuofobia costituiscono ancora un grumo di consenso che, senza essere maggioritario, è tuttavia dominante nella società italiana e in quel campo minato che è il costume nazionale. Solo così spiego la grande rabbia che ha travolto l’azienda sulla rete, un ruggito di indignazione che suona più o meno così: noi progressisti siamo perdenti senza colpa, non abbiamo più un partito che ci difenda, ma almeno vendichiamoci facendo a pezzi questi fottuti conservatori della Barilla.
Ed è anche per questo che pur essendo vellicato dall’ironia intelligente e paracula delle ditte concorrenti come la Garofalo (“Non importa chi sei purché mangi la pasta sia al dente”) non riesco a credere che una guerra tra marchi possa sostituire un dibattito civile che in questo paese non si è mai fatto. Questa scaramuccia di marketing ideologico e umori roventi amplificati dalla rete, non è una battaglia di civiltà, non puó essere il sostituto dei referendum su divorzio e aborto che tra il 1974 e il 1980 rivelarono alla politica l’esistenza di una nuova Italia.
Non accetto il pericoloso scambio emotivo che in queste ore suona più o meno così: non avremo i diritti, ma almeno ci potremo consolare boicottando la Barilla. Io sono da sempre convinto che la famiglia “tradizionale” non esista, che non esistono famiglie “naturali”: esistono già oggi tante famiglie diverse, famiglie arcobaleno, famiglie allargate, famiglie scomposte, ricomposte, famiglie monogenitoriali, famiglie di single, famiglie belle e famiglie brutte, famiglie come la famiglia Franzoni, famiglie tradizionali e terribili, famiglie con due papà e due mamme molto felici, e famiglie sfasciate e molto infelici. L’unica cosa che bisognerebbe provare a discutere con Guido Barilla, è che “la famiglia Mulino Bianco” che lui considera perfetta per rappresentare il suo brand non esiste più già da anni.
Anzi, direi che la “famiglia tradizionale” – piaccia o meno – esiste ormai solo negli spot della Barilla, è una meravigliosa invenzione ideologica della pubblicità. Ecco perché non confondo il marketing con la politica: non boicotto nessuno, anche se dice fesserie o cose che non condivido. E non faccio nemmeno acquisti preferenziali per i marchi che adesso giocano a dissacrare, a meno che non ci sia una ditta che abbia il coraggio di fare uno spot che mette al centro di tutto una famiglia hippy, fricchettona, con figliastri o gay. Finta pure quella, fra l’altro: ma almeno innovativa.
Twitter: @LucaTelese