Airbnb, il social network tax free per case da sogno

In molti stati contestazioni sulle tasse

Un pied-à-terre a Parigi, un monolocale a Sidney o un appartamento dietro Santa Croce a Firenze? Tutto alla portata di un clic, per un periodo limitato e un soggiorno in casa d’altri. Anche il viaggiatore più pigro si sarà imbattuto in questi mesi in Airbnb, portale fondato nel 2008 a San Francisco da un ingegnere informatico e da due designer, che mette in contatto persone che cercano un alloggio o una stanza a breve termine con altre che hanno uno spazio da affittare. Il nome e l’idea partono da quel materasso gonfiabile (air bed in inglese) che Brian Chesky e Joe Gebbia usarono per ospitare persone nel loro loft, quando non riuscivano a pagarne l’affitto. Nathan Blecharczyk, il terzo fondatore, tradusse in codici informatici l’intuizione dei due soci. Nell’agosto di 5 anni fa, il lancio del progetto. Per promuovere la startup, i tre pensarono a confezioni di cereali con il nome «Obama O’s» da vendere fuori dalle assise dei democratici. 

Il successo è stato rapidonel luglio del 2011, Airbnb raccolse 112 milioni di dollari da diversi investitori, raggiungendo la valutazione di 1 miliardo di dollari. In poco tempo, è diventato un community marketplace con 500 mila annunci, sempre in aumento, sparsi in 35 mila città e 192 paesi nel mondo. Più di 8,5 milioni i clienti, gradimento alto e 11 nuovi uffici aperti all’estero nel 2012 (uno a Milano). «Sia che si tratti di un appartamento per una notte, di un castello per una settimana o di una villa per un mese, Airbnb mette in contatto le persone con autentiche esperienze di viaggio a qualsiasi prezzo», scrive il sito. Aggiungendo: «Inoltre, grazie al nostro fantastico servizio di assistenza clienti e a una community di utenti sempre in crescita, Airbnb è il modo più facile per trarre profitto dal tuo spazio in più e mostrarlo a un pubblico di milioni di persone».

Ma quella di Airbnb non è tutta una fiaba. Anzi. Non mancano i guai per un portale che agisce sul crinale di norme non sempre ben definite e, per le voci critiche, talvolta oltre la soglia della legalità. Alberghi e bed and breakfast – i cosiddetti operatori ufficiali del settore – accusano il sito di concorrenza sleale perché gli host «amatoriali» di Airbnb non hanno gli stessi obblighi fiscali e legali imposti alle imprese alberghiere. E non pagherebbero la tassa di soggiorno. Le grane maggiori, Airbnb, non le sta avendo nella «burocratica» Europa, ma nella Grande Mela, dove Eric Schneiderman, procuratore generale dello stato di New York (lo stesso che durante l’ultima campagna elettorale indagò per evasione fiscale la Bain Capital fondata da Mitt Romney), ha intimato alla società di San Francisco di fornire – ai fini di controlli fiscali – i dati di tutti coloro che a New York affittano attraverso Airbnb, circa 15 mila persone. Il giudice si appella a una legge dello Stato del 2010, per cui sarebbe illegale affittare un locale per meno di 30 giorni se il proprietario non risieda in casa. La società americana, attraverso una nota pubblicata sul sito, ha detto che farà di tutto per proteggere i dati degli host (coloro che ospitano). Nello scorso maggio, un cittadino newyorkese è stato condannato a pagare 2.400 dollari di multa proprio perché nei tre giorni in cui affittava una delle stanze del suo bilocale a due turisti russi, era andato in vacanza in Colorado. La multa, dopo il ricorso, è stata sospesa. Una notizia che è stata salutata come una vittoria da Airbnb, che ha sottolineato una volta di più le potenzialità della sharing economy e la necessità di riscrivere la legge in oggetto, inserendo però l’obbligo della tassa di soggiorno.

La questione Schneiderman vs Airbnb è accesa. La società è corsa ai ripari con una petizione per salvare il servizio a New York, che ha già superato le 200 mila adesioni. L’obiettivo è che l’attuale legge venga cambiata. Douglas Atkin, responsabile globale della community, ha scritto una mail a tutti gli utenti. «La maggior parte dei nostri host è rappresentata da persone ordinarie che cercano di far quadrare i conti affittando le proprie case. Al momento, questo tipo di esperienza è sotto minaccia. Il procuratore generale di New York ha richiesto i registri di quasi tutti gli host della città. Stiamo combattendo questo mandato di comparizione con tutti i mezzi a nostra disposizione, ma una legge mal scritta comporta una grande difficoltà nell’applicarla». Il goal è fissato a 250 mila firme. Mishelle, un’host di Airbnb, si è impegnata a consegnare personalmente al Senato di New York la maxi petizione.

In questo periodo, con l’espansione smisurata della community, i guai per Airbnb sono quasi all’ordine del giorno, proprio per la natura del servizio, che ha la caratteristica di non esaurirsi all’interno di un unico ordinamento. Nel rapportarsi con la grande varietà di legislazioni locali spesso innesca controversie. A Parigi, dove le ire degli albergatori si sono alzate tempo fa, il governo sta cercando di inquadrare la formula Airbnb. Non sembra intenzionato ad andare alla guerra, visto che, da una recente indagine proprio sul mercato parigino, è emerso come un utente di Airbnb soggiorni almeno il doppio dei giorni rispetto a un cliente di un hotel tradizionale. E, durante il suo viaggio, spenda in media 865 euro contro i 439 del turista alloggiato in hotel. 

Rispetto alla complessa questione fiscale, Airbnb auspica che gli host rispettino le norme locali. Ma non dice molto altro, un po’ si sfila. Sul sito precisa: «Agli host che non sono cittadini americani e che non hanno annunci negli Stati Uniti chiediamo un modulo W-8. Questo fornirà le informazioni che dimostrano che i guadagni effettuati con Airbnb non sono soggetti a imposte negli Stati Uniti. Ciò dipenderà da diversi fattori, ad esempio dove si trova il tuo alloggio. Tuttavia potresti essere soggetto a imposte locali e nazionali nel tuo paese. Ci aspettiamo che tutti gli host rispettino le proprie normative locali, i contratti, le autorità fiscali e qualsiasi altra legge applicabile al loro caso. Sei responsabile della gestione delle tue tasse e degli eventuali obblighi fiscali».

Airbnb addebita agli host un costo del servizio del 3% per ogni prenotazione completata tramite il loro sito. Tocca, poi, alle parti (host e ospiti) sbrigare i dettagli dell’accordo. L’host ha la possibilità di fare firmare un contratto, ma solo se precisato prima della prenotazione. Sarà suo dovere inserire i ricavi nella dichiarazione dei redditi. Non sempre capita. La questione è complessa, anche nel discrimine tra attività imprenditoriale e occasionale. Mancano, poi, norme fiscali chiare che vengano incontro agli operatori economici onesti e al fisco stesso: «Ecco allora – spiega Daniela Bauduin, avvocato amministrativista autrice di un saggio sull’economia sommersa con Giancarlo Ferrero, già presidente del secondo collegio della Commissione tributaria centrale – la necessità che gli Stati adottino norme di diritto internazionale privato uniformi attraverso trattati internazionali e atti di diritto dell’Unione Europea, ma anche che intervengano a disciplinare situazioni del tutto nuove per il diritto rispetto alle quali si assiste a un vuoto di disciplina. Quest’ultima esigenza è ancora più forte se si pensa al bisogno, crescente in un momento di crisi economica, di certezza del diritto, allo scopo di favorire la mobilità delle persone e dei servizi, ma anche di combattere l’evasione e l’elusione fiscale».

In Italia la crescita di Airbnb è stata esponenziale, dall’estate 2011 all’estate 2012 ha infatti registrato un aumento del 650%, il più alto in Europa, e durante il 2013 – secondo dati forniti dallo stesso sito – gli annunci sono cresciuti di un ulteriore 93%. Sul portale sono 49 mila gli alloggi italiani disponibili e i viaggiatori che soggiornano nel nostro paese sono in media 12 mila ogni giorno. Alcuni professionisti hanno sottolineato, a Linkiesta, alcuni aspetti positivi del progetto: «La vastità della piattaforma e la possibilità di offrire a chi vuole e deve risparmiare occasioni di soggiorno confortevoli». È quasi scontato che di Airbnb si sentirà, nel bene e nel male, sempre più parlare. Anche qui, in Italia, dove prima o poi (vista la varietà di norme locali), si scatenerà un contenzioso.