Casini e Monti, la coppia del loden finisce in rissa

C’eravamo tanto amati

Le dimissioni di Mario Monti? «Non mi riguardano. Non mi riguardavano ieri, non mi riguarderanno domani». Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini non sembra farsi troppi problemi. Anzi, incontrando alcuni giornalisti al Senato ostenta persino disinteresse. Con una decisione tanto improvvisa quanto clamorosa, ieri il Professore ha deciso di abbandonare Scelta Civica in polemica con l’alleato. «Accuse ridicole», replica con durezza l’ex democristiano.

La fase è difficile. Tra i montiani, veri o presunti, iniziano a volare gli stracci. Mai si sarebbe immaginato uno scontro tanto aspro. Eppure c’è stato un tempo in cui il sodalizio sembrava indistruttibile. Un periodo neanche troppo lontano in cui Casini era letteralmente estasiato da Monti. Tanto da diventare il suo principale sponsor politico. Non si parla di chissà quanti anni fa, basta tornare alla fine del 2012. Ultimi mesi del governo tecnico. 

«Il lavoro non è finito – si sgolava inascoltato il leader Udc – c’è ancora bisogno di Monti». Un presidente del Consiglio quasi eroico. «È stato lui a salvare il nostro Paese dalla deriva greca». All’epoca il Professore non aveva ancora deciso se rimanere in politica o tornare all’Università. Ma Casini già lo incalzava: «Noi lavoriamo perché alle prossime elezioni politiche Monti sia richiamato in servizio permanente effettivo e sia investito dalla gente della possibilità di continuare a lavorare». Una scelta quasi obbligata. «Dobbiamo capire – ripeteva Casini con tono fatalista – che questo governo non è una parentesi da cui si può tornare indietro, è una scelta di discontinuità forte rispetto a stagioni politiche che ci hanno portato solo disastri».

Eppure anche in politica succede a volte di cambiare idea. Oggi il salvatore della patria è improvvisamente diventato un ingombrante alleato. A Casini non sembrano andare giù le continue critiche – a dire il vero neppure tanto ostinate – che Monti riserva al governo Letta. E non ha alcuna remora a farlo notare. «Monti ha sperimentato per esperienza diretta quanto sia difficile stare al governo. (L’esecutivo, ndr) va appoggiato senza se e senza ma, perché se ogni giorno gli mettiamo i bastoni tra le ruote come fa il povero Letta a governare?». Più che una differenza di vedute, un vero e proprio atto d’accusa. «Questa politica del doppio binario, questo atteggiamento rissoso sull’azione dell’esecutivo e questi continui distinguo – l’attacco finale di Casini a Monti – non sono accettabili». E tanti saluti al Professore. 

Lo spazio per una riconciliazione sembra definitivamente precluso. «Non c’è niente da ricucire», taglia corto il leader dell’Udc. Sic transit gloria mundi. È con nostalgia che si torna alle cronache di quella fine 2012. La sola presenza di Monti era considerata quasi un onore. Bastava un cenno del Professore per benedire qualsiasi iniziativa. Una sua candidatura alla premiership «darebbe molta autorevolezza alla nostra proposta politica» ammetteva Casini il 22 dicembre. E non si pensi a un’infatuazione passeggera. «Monti in campo materializza un’opzione che abbiamo coltivato fin dal 2008 – spiegava l’ex Dc in un’intervista al Messaggero del 31 dicembre – Il senso di responsabilità contro il populismo. Il contrasto netto all’idea che i partiti possano organizzarsi sul criterio dell’uomo solo al comando. Monti a tutto questo ha aggiunto la sua corposa autorevolezza personale, che poi è ciò che fa la differenza». E meno male. 

In realtà già durante l’ultima campagna elettorale qualcuno aveva iniziato a mettere in discussione il rapporto tra i due. Monti e Casini. Un matrimonio di convenienza senza troppa stima reciproca, raccontavano le malelingue. Le sole indiscrezioni avevano mandato l’ex Dc su tutte le furie. «Io e Monti abbiamo lo stesso intento e lo stesso disegno politico» aveva chiarito a fine gennaio, durante la presentazione della lista dei candidati Udc alla Camera. Per poi tornare sull’argomento qualche giorno dopo, durante un comizio a Bologna. «Io sono orgoglioso di fare la campagna elettorale di fianco a Monti. Non capisco chi mette in giro queste chiacchiere, tra me e il premier c’è una totale sintonia, ci sentiamo tutti i giorni».

Forse si sono telefonati anche troppo. E così, come in ogni amore molto intenso, i due hanno finito per stufarsi l’uno dell’altro. Oggi Casini ci tiene a marcare le distanze dal Professore. La vicenda delle dimissioni «è una fibrillazione interna al suo partito» spiega con distacco. «Io aderisco al gruppo, non al partito. L’unica cosa che mi riguarda è il governo». E ancora peggio: «Le cose di Scelta Civica non mi interessano». Ma come? Fino a poco tempo fa era stato lo stesso Casini a puntare su un unico soggetto. «Questa nuova area – le sue parole nell’ultima campagna elettorale – è la realizzazione del nostro sogno politico. Prima soffrivo di solitudine, condizione politica che non è per niente ideale. Sono ben lieto che questa solitudine sia venuta meno». Non a caso al Senato era stata persino presentata un’unica lista elettorale. A conti fatti, un colpo di fortuna. Senza il listone nessuno dei due avrebbe superato la soglia di sbarramento prevista dal Porcellum. Oggi Casini e Monti discuterebbero fuori dal Parlamento. 

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