Casa: croce e delizia degli italiani, ma elemento portante e su cui punta ogni Governo per raccogliere denaro. Ecco quindi che dopo la tanto bistrattata Imu, la fugace apparizione della service tax, arriva un nuovo tributo: la Trise, che sarà formato dalla Tari sui rifiuti, e dalla Tasi sui servizi indivisibili. E la casa si conferma il bancomat attuale, e futuro, di ogni Governo.
Ampiamente sviscerata nei vari nomi, negli obiettivi, e nelle (ancora ipotetiche, è bene sottolinearlo) composizioni, la nuova tassazione sugli immobili si presenterà il prossimo 1° gennaio 2014, come un’autentica babele, su cui probabilmente il Governo l’anno prossimo dovrà intervenire per aggiustamenti e integrazioni per non aggravare la situazione del bilancio dello Stato. Il motivo? Ad oggi il quadro è ancora talmente incerto che è fuorviante fare previsioni su gettiti ed aliquote, ma la Trise, così come è stata concepita, si configura sostanzialmente come un’Imu “mascherata” a carico delle abitazioni accatastate come A2 e A3.
Il perché poi della “babele immobiliare” è presto detto: per la Tari (sui rifiuti) il metodo di calcolo è fondamentalmente identico alla Tares: basato sui metri quadrati dell’abitazione e sul numero degli occupanti. Ma se per le abitazioni (prima casa) A2 e A3 il calcolo è presto fatto e risolto, per le abitazioni di categoria catastale A1, A8 e A9 (indifferentemente se prima o seconda casa), così come per le seconde case e i capannoni non utilizzati a scopo produttivo, la Tari potrebbe – e qui il condizionale è assolutamente d’obbligo – andare a sommarsi all’Imu. La componente servizi pubblici comunali (la Tasi) si calcolerà, a scelta dei comuni, o sulla rendita catastale rivalutata del 65%, così come per l’Imu o sui metri quadrati. Definita la base imponibile si pagherà l’uno per mille sulla rendita o un euro a metro quadrato. Quote che i comuni potranno aumentare, con un limite: la Tasi non dovrà comunque costare più dell’aliquota massima dell’Imu maggiorata dell’uno per mille.
Al di là di tutti i meccanismi e i tecnicismi, che potrebbero essere totalmente cambiati e stravolti dal passaggio della Legge di Stabilità in Parlamento, l’elemento da tenere bene in considerazione è sostanzialmente legato ad un problema di coperture su cui il Governo sta lavorando in queste ore, e su cui probabilmente si troverà a lavorare nei prossimi mesi, a manovra approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Come già discusso qui su Linkiesta la sospensione prima, e la cancellazione poi, dell’Imu sulla prima casa, è stata dettata più da esigenze politiche che da ragioni economiche e tributarie. La Trise, in definitiva, si sta configurando – come ampiamente previsto – come l’introduzione dell’imposizione fiscale sulla prima casa in una diversa formulazione. E quest’aspetto come dimostrano gli ultimi anni, e i diversi governi che si sono succeduti, Berlusconi prima (il cui esecutivo ideò, pur con un taglio diverso, l’Imu), Monti poi, e ora Letta presentano una caratteristica comune: la casa è un bene su cui lo Stato può contare per far cassa. Difatti oggi la sempre minore quantità di flussi tassabili da lavoro, impresa e consumi stanno spingendo lo Stato a spostare sempre di più la tassazione sul patrimonio registrato. Dunque principalmente attivi bancari, automobili e imbarcazioni e ovviamente immobili. Di queste tre categorie quella più difficile da occultare o spostare all’estero è proprio la casa.
È un fatto culturale, ancor prima che economico come forma d’investimento: per lunghi decenni gli immobili hanno rappresentato per gli italiani un bene rifugio, tanto che, come rilevato a gennaio di quest’anno dal paper di Banca d’Italia dal titolo “La ricchezza immobiliare delle famiglie italiane: un confronto fra dati campionari e censuari”, la ricchezza complessiva immobiliare degli italiani (secondo i dati del MEF) è pari a 5.408 miliardi di euro, con un valore medio pari a 193.115 euro. Senza dubbio una “sconfinata” ricchezza su cui gli ultimi Governi hanno agito, non senza difficoltà – più a livello politico, in realtà – ma che ha dato risultati garantiti: 23,7 miliardi di euro il gettito totale dell’IMU nel 2012, prima della sospensione di quest’anno.
Ma è anche un problema di priorità e di capacità di ogni governo di impostare una strategia fiscale immobiliare di lungo periodo, piuttosto che di breve termine: è più semplice, immediato e con risultati (alla voce gettito) sicuri rimodulare l’imposizione fiscale sulla casa, dato che la lotta all’abusivismo è solo all’inizio, e che la riforma del catasto, ancora ferma in Commissione Finanze in Parlamento, se mai vedrà la luce, avrà effetti rilevanti non prima di un decennio.
Ecco perché la casa in sé oggi non è più quel porto sicuro per i risparmi, ma una ricchezza “virtuale” per i proprietari, stretti da un lato da un ridimensionamento dei valori, dall’altro dalla crescita dell’imposizione fiscale, e dalla necessità di mantenere appetibile sul mercato il proprio immobile, vista la quantità di stock attualmente disponibile e invenduto. Una situazione che può essere considerata come un male assoluto? Per i proprietari, nell’immediato probabilmente sì, ma come “sistema Paese”, forse no, perché l’immobile nel bene, ma soprattutto nel male, ha rappresentato una forma di rendita che non ha prodotto valore. Ma questo è un altro discorso.
Twitter: @andreaguarise