Un anno fa erano in dieci. Quando a metà novembre Matteo Renzi lanciò la sfida a Bersani per la premiership, i parlamentari del Partito democratico presenti alla Leopolda di Firenze erano esattamente dieci. Oggi sono diventati più di duecento. Tante sono le firme che il rottamatore ha raccolto nelle ultime 48 ore tra Camera e Senato, a sostegno della sua candidatura per la segreteria. Non è una questione di numeri. Non solo, almeno. Piuttosto il segno di una rapida e profonda metamorfosi.
In un anno Matteo Renzi è cambiato. È cambiata la sua squadra, il suo linguaggio, persino la simbologia del personaggio. Era un outsider, è diventato il favorito. Nel partito lo consideravano un fastidioso rompiscatole, ora è il leader di riferimento più ambito. E così attorno al sindaco si sono stretti fedelissimi lettiani come Francesco Sanna ed ex dalemiani alla Nicola Latorre. I parlamentari di Areadem vicini al ministro Dario Franceschini schierati in suo favore sarebbero addirittura un’ottantina. «Le critiche dei prevenuti e le lusinghe dei ruffiani non avranno il potere di cambiarmi», assicura Renzi. E chissà se è per questo motivo che alcuni endorsement sono stati respinti al mittente (è il caso, raccontano, dell’ex portavoce di Pierluigi Bersani, Alessandra Moretti).
Cambia il perimetro delle alleanze interne, e non potrebbe essere altrimenti. Perché se Renzi vuole prendersi il Pd non può che aprirsi al partito. E così la rottamazione si scopre un abbaglio. Il dirigente che doveva mandare in pensione l’apparato ha finito per accogliere con entusiasmo il sostegno di dirigenti come Piero Fassino e Walter Veltroni. Ma cambia anche l’immagine. Il personaggio è molto diverso da quello che conquistò l’attenzione del Paese nella lunga sfida a Bersani. In vista del congresso dell’8 dicembre, si apre a Bari la campagna renziana per le primarie. Le differenze rispetto alla passata esperienza sono evidenti. Lo slogan dal vago sapore leaderistico “Adesso!”, è stato sostituito con un più comunitario “L’Italia cambia verso”. Al posto del camper con cui Matteo girava l’Italia è stato scelto il treno. Non ci saranno più centinaia di tappe nei principali teatri italiani, ma solo pochi appuntamenti mirati. A Bari, poi in Trentino. Ma il giro dovrebbe toccare anche Lampedusa e il Sulcis, luoghi simbolo delle difficoltà del Paese.
E ancora. Basta video sparati a tutto volume. Basta palchi addobbati a festa di rosso e blu (Renzi non ha mai nascosto che il partito dei suoi sogni era direttamente ispirato a quello di Barack Obama). Quest’anno si riparte dalle feste dell’Unità. Un passaggio importante della metamorfosi renziana risale proprio a questa estate. Archiviato il messaggio “si vince solo se parliamo agli elettori delusi del centrodestra”, il sindaco di Firenze si è rivolto allo zoccolo duro del Pd. Tra luglio e agosto si è presentato a una lunga serie di appuntamenti tradizionali nella rossa Emilia Romagna. Una piadina dopo un piatto di tortellini. Conquistando tanto le platee quanto i locali dirigenti bersaniani.
Il coordinatore nazionale della campagna per le primarie di Renzi sarà Stefano Bonaccini. Segretario regionale democrat in Emilia Romagna, ex uomo di Pierluigi Bersani. Non è il solo. Tra i convertiti al renzismo c’è anche il sindaco di Bologna, Virginio Merola. Testimoni della virata a sinistra di Renzi o politici sensibili al trasformismo? Molto dirà il manifesto programmatico che il sindaco presenterà a Bari. Si attendono proposte importanti su lavoro e legge elettorale. Forse persino un’apertura alla patrimoniale. Ma ancora più elementi potrà fornire la tre giorni della Leopolda organizzata per fine mese a Firenze. Nelle precedenti kermesse erano stati accolti con tutti gli onori economisti e professori liberali del calibro di Luigi Zingales e Pietro Ichino. Difficile dire se nell’immaginario renziano quell’idea di sinistra sia ancora valida. L’impressione è che i recenti ammiccamenti di Nichi Vendola abbiano relegato in secondo piano le suggestioni della scuola di Chicago.
Del resto come ha spiegato pochi giorni fa all’Unità Dario Nardella – uno dei pochi fedelissimi sempre vicino al sindaco – oggi il posizionamento europeo del Pd non può che essere nel Pse. «La nostra famiglia di riferimento sono i socialdemocratici». Alla faccia di tutti coloro che ironizzavano sulle radici democristiane di Renzi. Lo Scudo Crociato è una realtà che ormai appartiene al passato, al pari di quell’avversione all’antiberlusconismo come etichetta. Il sindaco di Firenze è sempre stato convinto che Berlusconi dovesse essere sconfitto alle urne, non nelle aule giudiziarie. Lo stesso Cavaliere che, seppure in veste ufficiale di primo cittadino, non c’era nulla di male a incontrare nella sua villa di Arcore. Ora forse non è più così. Al centrodestra Renzi ha promesso «un’asfaltatura» elettorale. Uno dei manifesti della sua campagna per le primarie è dedicato proprio all’ex premier. «Da vent’anni la politica si occupa di una sola persona – si legge – Noi ci occuperemo di tutti gli altri». Berlusconi? «È game over – ha spiegato Renzi tagliente in una recente apparizione televisiva – L’ipotesi di salvarlo dalla decadenza non esiste». Più di sinistra di così…