A trentacinque anni di distanza il Parlamento torna a indagare sul rapimento e l’omicidio di Aldo Moro. La richiesta di istituire una commissione di inchiesta era stata presentata due mesi fa da numerosi deputati di diversi schieramenti (l’iniziativa era partita dal democrat Beppe Fioroni). Ieri pomeriggio la commissione Affari costituzionali della Camera ha terminato l’esame degli emendamenti. Acquisito il parere delle commissioni Bilancio e Giustizia, la proposta arriverà finalmente in Aula.
Due le date di riferimento. Il 16 marzo 1978, giorno del rapimento di Moro e dell’assassinio dei cinque uomini di scorta. E il 9 maggio successivo, quando fu ritrovato in via Caetani il cadavere dell’ex presidente del Consiglio. Due eventi entrati nella storia del Paese. Eppure «il caso Moro – così si legge nel documento parlamentare – è ancora una pagina densa di misteri e di enigmi».
Non è la prima volta che il Parlamento si occupa della vicenda. La prima commissione di inchiesta era stata istituita nel 1979. Nel 1983 fu presentata una relazione conclusiva, accompagnata da cinque relazioni di minoranza. «È di tutta evidenza però – spiegano oggi i firmatari – che la prossimità agli eventi, il permanere di determinate condizioni politiche internazionali (la guerra fredda) e la conventio ad excludendum che bloccava la democrazia italiana non rappresentavano le condizioni migliori per disporre di tutti gli elementi e per fare piena luce sull’intera vicenda».
E così adesso il Parlamento ci riprova. Il clima è migliore? Sicuramente, spiegano i proponenti «sembrano emergere rilevanti elementi di novità che riguardano azioni ed omissioni e che ruotano sul sospetto, sempre più connotato da certezza, che la morte di Moro poteva essere evitata». La commissione di inchiesta nasce così per fare definitivamente luce su una vicenda ancora oscura. E ancora meglio, per individuare responsabilità finora inedite. Il compito dell’organismo dovrà essere quello di accertare «eventuali responsabilità – così spiega l’articolo 2 della proposta – riconducibili ad apparati, strutture e organizzazioni comunque denominati ovvero a persone a essi appartenenti o appartenute».
Come prevede la Costituzione italiana, la commissione di inchiesta procederà alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria. Costo del funzionamento: 30mila euro annui. Una volta approvata la proposta, sarà la presidente di Montecitorio Laura Boldrini a nominare i trenta deputati che comporranno l’organismo. In proporzione, ovviamente, al numero dei componenti dei diversi gruppi parlamentari.
A dieci giorni dalla nomina sarà costituito l’ufficio di presidenza (un presidente, due vicepresidenti e due segretari). A quel punto la commissione avrà diciotto mesi per svolgere l’inchiesta. Tra le audizioni e l’esame di documenti finora riservati, spesso sarà necessario lavorare a fari spenti. Lo prevede, peraltro, l’articolo 6 della proposta di legge. «Tutte le volte che lo ritiene opportuno – si legge – la commissione può riunirsi in seduta segreta». E al segreto, si specifica più avanti, sono comunque tenuti i deputati presenti, ma anche «i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla commissione stessa».