Dunque le Poste italiane entreranno con un piede in Alitalia, mettendo 75 milioni nel salvataggio di un’azienda privatizzata 5 anni fa ma incapace di darsi una sostenibilità economica e di business. Si potrebbero fare tante ironie sull’operazione e già in rete ne circolano parecchie, da “Alitalia c’è posta per te” al nome della prossima navetta Milano-Roma che avrà come varchi dedicati i cosiddetti “imbarchi prioritari”.
In realtà la situazione è disperata e disperante per fare ironie. Davvero non si capisce la ratio di una operazione del genere. Non si tratta infatti della fusione Alitalia-Ferrovie che a tanti non piace ma avrebbe almeno avuto la logica (sbagliata) di una integrazione cielo-terra; non si tratta nemmeno di una ri-nazionalizzazione tout court, certo discutibile e anacronistica ma almeno chiara, trasparente, immaginiamo basata su una nuova strategia industriale.
Si tratta invece di un obolo versato nella fornace di una compagna di bandiera agonizzante da parte probabilmente dell’unico soggetto (pubblico) disponibile (dietro moral suasion del governo) ad evitare che l’Enac togliesse ad Alitalia le licenze a volare (e l’Eni smettesse di fornire il carburante agli aerei) tra pochi giorni. Un intervento che non cambia il destino urgente di Alitalia (accasarsi sotto le ali di un partner industriale vero), un’azienda che avrebbe dovuto aggregarsi già parecchi anni fa per evitare di finire stritolata dalla concorrenza internazionale e la rivoluzione dei cieli. Se si trattava di dover trovare 75 milioni per garantire l’aumento di capitale urgente, era dovere dei soci privati trovarli, visto che sono saliti loro, nel 2008, sulla cloche del vettore tricolore.
Se non hanno soldi né voglia di farlo, se a suo tempo l’hanno fatto solo per accendersi un credito con l’allora inquilino a palazzo Chigi (Berlusconi), che abbiano l’onestà di mollare il colpo e vendere l’azienda. Quel che non si può vedere è l’ennesimo tampone pagato dai contribuenti/correntisti per non risolvere nulla e posticipare i problemi. Con il paradosso che mentre all’estero, in Inghiterra, le poste si privatizzano, in Italia le si usano per dare una stampella ad un’azienda malconcia (e privatizzata…)