Nel programma di Civati, bollono parecchie idee e uno sforzo riformista apprezzabile. L’ispirazione è alta, l’analisi della crisi del partito brillante e convincente, alcuni spunti programmatici ben argomentati. Ma quando si chiude l’ultima delle settanta (troppe) pagine, rimane in bocca il sapore di un lavoro di squadra poco amalgamato. Come quegli allenatori catapultati in panchina a metà campionato che si ritrovano la squadra già fatta, Civati ci lascia il ricordo di qualche spunto pregevole, ma in uno schema di gioco fragile, anche perché l’allenatore appare condizionato da qualche vecchia ala sinistra che si ostina a rimanere in campo, convinta che si giochi ancora come quando era giovane. Difficile, così, portare a casa il risultato.
Il documento si struttura in tre parti: un’analisi della situazione del Pd nel contesto italiano ed europeo, una proposta per il Pd da costruire e infine una piattaforma programmatica per il governo del Paese strutturata, a sua volta, in cinque capitoli.
L’analisi parte dalla costatazione di un Paese in cui la “politica è sequestrata da un continuo stato di eccezione” imposto dalla nostra condizione di debitori, che genera a sua volta la necessità di una stabilità immobile che ci impedisce di vedere l’orizzonte e chiederci verso dove vogliamo dirigerci.
Il Pd ed i suoi predecessori non sono stati negli ultimi decenni in grado di comprendere il cambiamento sociale, né tanto meno di guidarlo. La sua classe dirigente l’ha ridotto in uno stato di “infermità culturale”. Da qui le piaghe che lo attanagliano: “conservazione delle linee di successione buro-politiche, […] tatticismo esasperato, […] difesa di apparati autoreferenziali”.
Presa coscienza della gravità della situazione, la fenomenologia civatiana identifica il renzismo come il primo passo nella direzione giusta, rilevando però che “la rottamazione senza originalità di progetto è un’illusione”. È innanzitutto riconoscendo la “propria parzialità” che il Pd può tornare in sintonia con la società ed il proprio elettorato, “perché le cose più innovative e forti non sono emerse, in questi anni, dal dibattito politico nelle istituzioni, ma nei movimenti che hanno attraversato il Paese”.
A partire da questo presupposto Civati avanza, sul piano organizzativo, una serie di proposte condivisibili di ristrutturazione del partito, a partire dalla sua distinzione dalle istituzioni di governo, all’abbattimento delle barriere che impediscono il dialogo con chi sta fuori dal partito, fino al superamento delle fondazioni personali a beneficio di una fondazione di studio del Pd.
All’interno di un’analisi e una proposta complessivamente ben argomentate e per nulla banali, intravediamo un rischio. L’apertura del partito verso l’esterno è sacrosanta. Tuttavia, Civati dà la sensazione di andare oltre, verso un acritico inseguimento di tutto ciò che si muove nella piazza, fisica o telematica. Insomma, il vecchio partito di lotta e di governo, anacronistico, improponibile e pericoloso per chi si candida a governare anni di austerità e riforme necessariamente impopolari.
La terza parte – Il Progetto – costituisce il cuore del Programma. Si suddivide in cinque capitoli:
Vediamoli brevemente uno ad uno.
1. Le città possibili
La copertura tematica è molto ampia. La riorganizzazione viene annunciata lungo molteplici profili, che non riguardano la città in senso stretto:
- Bisogni delle persone al centro;
- Rinnovata partecipazione dei cittadini all’amministrazione;
- Promozione dell’agricoltura urbana e peri-urbana;
- Riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli immobili;
- Offerta a prezzi accessibili (chi sussidia?) delle abitazioni sfitte e inutilizzate (pubbliche o private?);
- Sicurezza per le persone;
- Recupero aree dismesse e riqualificazione territoriale;
- Sviluppo della raccolta differenziata;
- Nuovo modello di società pubbliche per gestire il servizio idrico integrato, il servizio integrato dei rifiuti e il trasporto pubblico locale “in maniera partecipata e senza aumentare i costi per i cittadini”;
- Sviluppo delle energie rinnovabili e della piccola generazione diffusa per autoconsumo, con contestuale modernizzazione delle rete di trasmissione e di distribuzione, ivi comprese le interconnessioni con l’estero;
- Potenziamento dell’interconnessione modale del trasporto su tutto il territorio nazionale, con particolare riferimento a quello ferroviario e al Mezzogiorno.
Le intenzioni vanno tutte nella direzione giusta, ma più attenzione dovrebbe esser data al reperimento delle risorse, soprattutto per finanziare gli investimenti infrastrutturali. I flussi di cassa delle società pubbliche che gestiranno i servizi locali saranno sufficienti a consentire l’acceso a prestiti bancari e/o l’emissione di buoni obbligazionari? Annunciando la rinuncia a rileggere l’esito dell’ultimo referendum sui servizi pubblici locali, Civati forse si sta legando troppo le mani.
Inoltre, non è descritto quali dovrebbero essere le caratteristiche delle nuove società pubbliche per far compiere, soprattutto nel Mezzogiorno, un salto di trasparenza ed efficienza di gestione. Non solo, secondo la Costituzione, energia e trasporti hanno aspetti importanti di legislazione concorrente (Stato, Regioni e Enti Locali): qual è la posizione del Pd sui veti delle comunità locali alla costruzione sul loro territorio di infrastrutture necessarie al Paese? Infine, la capacità di reperire risorse o di ripagare capitali a prestito dipende anche dalla possibilità di aumentare le tariffe; lo stesso vale per la capacità di responsabilizzare l’Ente Locale rispetto ai risultati di gestione delle sue società mediante aumenti tariffari finalizzati al ripianamento annuale dei deficit: qual è la posizione del candidato su questo aspetto?
2. Democratizzare la Globalizzazione
In queste pagine il Pd di Civati si afferma internazionale ed europeista, favorevole ad una Europa federale attorno a quattro “unioni”: bancaria, di bilancio, economica e politica. Un completamento che non si può più rimandare, per dare nuova dimensione e forza sia agli interventi economici (grandi investimenti paneuropei, progetti di coesione e sviluppo con ritorni positivi su tutto il continente, regole e stabilità) che alle scelte di politica internazionale (si pensi al futuro del Mediterraneo e del Nord Africa). Dichiarazione di intenti esplicita che, soprattutto in un frangente in cui si tenta spesso di scaricare colpe sull’Europa e sulla Germania, equivale anche ad un atto di responsabilità.
Qui si delinea una nuova impalcatura per lo Stato, per la Pubblica Amministrazione e per i rapporti fondamentali tra Stato/PA e cittadini. Anche questo paragrafo non brilla per sintesi e linearità, ma i vari punti toccati hanno il pregio di individuare un percorso che potrà essere verificato ex-post.
• Trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie;
• Eliminazione dei duplicati di funzione, per semplificare la macchina amministrativa valorizzando al massimo il principio di sussidiarietà;
• Eliminazione delle Province;
• Diminuzione del numero dei Comuni, con accorpamento dei più piccoli;
• Riduzione del numero dei Parlamentari;
• Fiducia al Governo votata solo dalla Camera dei Deputati;
• Più poteri al Presidente del Consiglio nella direzione dell’attività dei Ministri, con facoltà di proporne al Presidente della Repubblica la sostituzione ad personam;
• Riforma della legge elettorale verso un modello maggioritario con collegi uninominali temperato da una quota proporzionale (ritorno al Mattarellum);
• Chiara e inderogabile casistica di incandidabilità ed ineleggibilità;
• Regolamentazione efficace per la parità di accesso ai mezzi di comunicazione di massa;
• Rinnovamento degli istituti delle proposte di legge di iniziativa popolare e del referendum;
• Ammodernamento della PA e valorizzazione del capitale umano impiegato (mappatura delle competenze, rafforzamento del public procurement, potenziamento degli uffici per la richiesta e l’allocazione dei fondi comunitari);
• Norme per favorire il ricambio nelle cariche elettive, negli incarichi e nelle posizioni apicali (periodi “bianchi” di intermezzo e rendicontazione pubblica del lavoro svolto), con ruolo attivo del Partito nel controllare i propri rappresentanti;
• Lotta senza confini alla corruzione, con strumenti sia preventivi sia sanzionatori (tra i quali la riforma della prescrizione);
• Legge efficace sul conflitto di interessi;
• Costruzione di una politica dell’immigrazione fondata su apertura, integrazione, riconoscimento dei titoli di studio e professionali, ius soli, ma anche regolamentazione dei flussi e cooperazione internazionale;
• Diritto di famiglia: equiparazione dei matrimoni unisex anche nel diritto di avere figli; adozione da parte dei single; ricerca sulle cellule staminali embrionali; testamento biologico; indagini pre-impianto sugli embrioni;
• Necessità di estendere gli istituti del welfare per coprire i bisogni delle famiglie, favorire la conciliazione vita-lavoro, promuovere l’occupabilità femminile;
• Universalismo sanitario “fondato su un riconoscimento indiscriminato di diritti di assistenza”, senza “confini assistenziali di tipo economico, etnico-razziale e sessuale”;
• Riforma e rafforzamento dell’assistenza per inabili/disabili.
Forse un po’ troppi punti appartenenti ad ambiti diversi. Le oltre quindici pagine dedicate a “Lo Stato al tuo servizio” richiedono un sforzo per estrarne l’agenda politica, ambiziosa ma che solleva qualche perplessità. Gli ultimi tre punti sono importanti e andavano discussi all’interno del progetto di riforma del welfare, con la proposta di una nuova visione complessiva l’identificazione delle risorse disponibili. Senza un quadro preciso delle risorse su cui fare affidamento in via strutturale il rafforzamento degli istituti di welfare per la famiglia, la conciliazione vita-lavoro e per la non autosufficienza rimane un’aspirazione non concretizzabile.
Fra l’altro, sulla carta il nostro sistema di assistenza socio-sanitaria è già universale, ma non ha risorse sufficienti. Accanto alla parola universalismo, bisognerebbe avere il coraggio di aggiungere l’aggettivo “selettivo”, a garanzia e presidio soprattutto delle finalità redistributive del welfare che altrimenti resta senza risorse.
Inoltre, c’è un “convitato di pietra”: il federalismo. Che si voglia continuare su questa strada o meno, lo si deve dire. Che cosa vuol fare il Pd di Civati col Titolo V della Costituzione? È uno snodo che tocca direttamente sanità, prestazioni di welfare erogate dagli Enti Locali, associazionismo (su cui il programma fa affidamento per integrare il welfare pubblico), integrazione degli immigrati, creazione della Camera delle Autonomie (quali collegamenti con i Consigli Regionali?), organizzazione dei servizi pubblici locali, etc.
Altro grande assente è la riforma della giustizia. Il fatto che Berlusconi e il Pdl abbiano abusato dell’argomento non deve far dimenticare la durata e la farraginosità dell’iter processuale, civile e penale, che incide negativamente sul contrasto della corruzione e dell’evasione fiscale (due punti del programma), sulla competitività dell’economia ed anche sulle relazioni tra cittadini.
Infine, la riduzione del carico fiscale sulle donne al fine di favorirne l’occupabilità, è discutibile. Si deve ridurre il cuneo fiscale su tutto il lavoro e soprattutto sui giovani, lasciando poi al mercato del lavoro la selezione delle professionalità migliori. Il vero aiuto alle donne passa per la costruzione di sistemi di istruzione e di welfare moderni, capaci di sostenere mobilità sociale e realizzazione delle aspirazioni, senza mettere in contrapposizione diretta lavoro e famiglia.
Questa è la parte meno comprensibile e più “insipida” del programma, a cominciare dal titolo. I temi “scuola” e “università” sono affrontati prevalentemente nella prospettiva occupazionale di chi già ci lavora e si preoccupano esclusivamente della stabilizzazione dei precari e dei ricercatori. Il capitolo, ricco di argomentazioni sull’importanza della scuola e dell’università per la mobilità sociale, l’integrazione, la competitività e la crescita economica, elude totalmente questioni fondamentali:
• Il disegno di regole di finanziamento strutturali (scuola e università navigano a vista da anni);
• Il sistema contabile delle università, debole e disomogeneo sul territorio come quello del sistema sanitario;
• Gli investimenti infrastrutturali;
• Che cosa fare delle università minori (affermare demagogicamente che non ci devono essere università di serie B significa nel concreto continuare a condannare tutte le università alla serie B);
• Il ruolo dei corsi dottorali;
• Il rapporto tra università e finanziatori privati;
• La verifica seria della qualità delle università pubbliche e private.
Il programma è qui vago e insufficiente, vecchio di decenni e totalmente avulso dall’attuale contesto di cooperazione e competizione internazionale tra poli di eccellenza della ricerca e della formazione, da cui siamo drammaticamente lontani e dai quali questo approccio egalitario-al-ribasso ci allontanerebbe ulteriormente.
Questo capitolo è dedicato al lavoro e al welfare. Si evidenzia l’inaccettabile dualismo del mondo del lavoro e la decennale crescita del carico fiscale sui redditi medio-bassi, che il nostro obsoleto sistema redistributivo riesce sempre meno a correggere.
I punti in agenda:
• Riduzione della pressione fiscale e contributiva sul lavoro regolare (contratto dipendente a tempo indeterminato o determinato);
• Contratto unico di inserimento;
• Modernizzazione delle modalità di rappresentanza dei lavoratori sia nella contrattazione retributiva che nella gestione delle imprese maggiori (artt. 39 e 46 della Costituzione);
• Riequilibro del welfare, con riduzione della quota di spesa assorbita dalle pensioni (primo pilastro) e sviluppo degli istituti oggi deboli o inesistenti
• Sussidio universale di disoccupazione, reddito minimo (400 Euro a persona), sostegno alle famiglie;
• Riforma degli ordini professionali;
• Lotta all’evasione e all’elusione con pagamenti elettronici, digitalizzazione e centralizzazione delle fatture, revisione del Tuir (casistica di detraibilità/deducibilità);
• “Non più in alto del Quirinale”: revisione delle retribuzioni delle cariche dello Stato e della Pubblica Amministrazione secondo principi di congruità, proporzionalità, trasparenza.
Due elementi brillano qui per la loro assenza: le risorse e le imprese.
Le risorse: Per il sussidio universale e il reddito minimo servono 20 miliardi all’anno, che non sono finanziabili in deficit; non lo saranno per molti anni a venire, né è auspicabile che lo siano. Sul come reperirli gli unici accenni sono alla tassazione aggiuntiva delle pensioni più elevate, che potrà fruttare centinaia di milioni di euro, non decine di miliardi, e a una “maggiore tassazione sul patrimonio” (quale?). Non si dà conto neppure delle risorse necessarie per ridurre il cuneo sul lavoro e di come realizzare la ricomposizione della spesa pubblica per welfare (dalle pensioni agli istituti sottodotati o assenti).
Le imprese: L’alleanza tra chi rischia, nel lavoro come nell’impresa, è accennata all’inizio ma non è sviluppata, anzi viene contraddetta dal resto del documento. Il silenzio sull’impresa è assordante. In settanta pagine al mondo imprenditoriale sono dedicate una decina di righe, del tutto generiche. Sembra di percepire che il cuore del candidato non batta da quella parte. Ora, è vero che si tratta di milioni di elettori che hanno disertato il Pd: ma chi si candida alla guida del principale partito italiano può non avere nulla da dire ad una parte così essenziale e vitale del Paese o, peggio, delegare il dialogo alla sola Equitalia?
In conclusione ci pare che la proposta di Civati arricchisca il dibattito congressuale su molti temi. Ci vuole però ancora parecchio lavoro. Alcuni argomenti non sono coperti nonostante il loro rilievo (privatizzazioni, federalismo, sanità). Si avverte il bisogno di una migliore regìa per poterne estrarre un programma chiaro e convincente. Forse qualche sostituzione nella squadra aiuterebbe.
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