Genio del maleRidere coi morti, anche ad Halloween

La rubrica Genio del male

Invece che indignarci per il dilagare dello spiritismo celtico che soffia ormai da qualche tempo nella notte di Halloween, dovremmo semplicemente tornare ad attingere a quel mondo pur sempre macabro e grottesco che si nasconde dentro altre “zucche”: quella per esempio del milanese Delio Tessa (1886 -1939), avvocato senza successo, ma certamente poeta dei più grandi del nostro Novecento.
Come pochi altri è stato in grado di fissare sulla pagina formidabili istantanee di una società còlta appena prima del disfacimento. In “Caporetto 1917” immagina di fondere il piano dello scontro bellico con quello della società: da una parte la disfatta nazionale col nemico alle porte, dall’altra la passeggiata milanese di ritorno dal cimitero di Musocco. Siamo praticamente in un film espressionista in cui scorrono le immagini di un grande esodo: avvinazzati gaudenti stipati nei tram, pagliacci che consumano caldarroste sotto cadenti pergolati, mentre dalle finestre provengono le voci dei bollettini di guerra:
 

«…a destra
del Brenta, incendiati
i depositi, in dura
lotta nella pianura,
ci siamo ripiegati…».

Da una parte «lo Zio» (l’imperatore Cecco Beppe) che castiga i “nipoti” italiani, dall’altra il sogno d’innalzare la bandiera rossa in cima alla Madonnina.
Non è solo caos: resta vivo un grande presentimento, quello di un disastro epocale che incombe. Qualcosa di simile accade di nuovo: c’è ancora chi gode e s’ubriaca facendo finta che il nemico non abbia sfondato le linee: chi si ostina a far sfilare le modelle e chi ha già acceso gli alberi di Natale. Ma il disfacimento è irreversibile.
Tuttavia, se seguiamo la “zucca” del Tessa, allo scampanio del «gamba-de-legn» (il lento tram a vapore che collegava Milano coi centri limitrofi) dovrebbe rispondere un ritornello rassicurante: «L’è el dì di Mort, alegher». Nonostante tutti questi morti, questa desolazione, questa sconfitta sociale, si deve stare allegri: dopo la sconfitta di Caporetto c’è pur sempre la riscossa del Piave.
Una tale prospettiva non è forse simile alla nostra, sempre di ritorno ormai da qualche cimitero, vicino o lontano, eppure costretti a stare allegri? «L’è el dì di Mort, alegher». Che sia forse la morte la cosa più interessante nella vita?

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