Un governatore e una giunta regionale distante da quelle che sono le istanze della popolazione siciliana. Un governatore, Rosario Crocetta alias “Saro il rivoluzionario”, presente più a Roma che a Palermo.
«Frequenta il Senato come fosse Palazzo dei Normanni», mormorano. Semmai, asseriscono i maligni, «trascorre gran parte del suo tempo a Castel di Tusa», in provincia di Messina, sul mare, dove il «rivoluzionario» riunisce gli assessori, e i fedelissimi Beppe Lumia e Totò Cardinale. È una Sicilia “immobile”, “paralizzata”, quella che da circa un anno viene guidata dall’ex sindaco di Gela. Una Sicilia che dopo un anno non può vantare alcunché, neanche la sbandierata abolizione delle province: «Entro il 31 dicembre dovremo legiferare, ma ad oggi è tutto fermo», sbotta un parlamentare regionale fedelissimo di Pierferdinando Casini.
Per Antonio Fraschilla dell’edizione palermitana de la Repubblica, «dall’inizio della legislatura sono state approvate 19 leggi, la gran parte di queste però riguardano bilancio, assestamento e proroghe dei precari». Addirittura c’è chi sostiene che «fino alla conclusione del congresso nazionale del Pd resterà tutto fermo». E ad oggi “Saro” si ritrova senza maggioranza, avendo perso per strada il sostegno di M5s e Pd, due assessori dimessi – Luca Bianchi e Nino Bartolotta – hanno fatto armi e bagagli, e si registrano gli indici economici peggiori rispetto all’anno precedente. Ad esempio, il Pil è fermo dal 2010 (Fonte Prometeia). Altro che crescita, altro che “rivoluzione”.
Racconta un navigato parlamentare regionale di centrodestra, che ha visto passare davanti a sé gli ultimi tre governatori regionali – Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo, e per ultimo Crocetta – «è la sindrome di Palazzo d’Orleans. Prima prometti fuoco e fiamme. Poi varchi l’ingresso e ti adagi all’immobilismo sicul-palermitano». Per di più Crocetta ha imparato l’arte di “annacarsi” che in gergo siciliano significa tutto, e il contrario di tutto. In sostanza si affretta ma allo stesso tempo tergiversa.
Così un giorno cede sul progetto politico che lo ha visto protagonista in queste ultime settimane, il movimento “il Megafono”: «Mi iscriverò al gruppo parlamentare del Pd». E il giorno successivo torna indietro: «Il Megafono resta in piedi». Confuso. Un giorno rompe «definitivamente» con il Partito democratico, che da tre settimane non lo sostiene più: «Andrò avanti lo stesso come ho sempre fatto per continuare la rivoluzione. Io sono il presidente dei siciliani». Il giorno successivo ricuce, vola a Roma, e promette al segretario nazionale Guglielmo Epifani che chiuderà “il Megafono” e farà entrare in giunta il segretario regionale Giuseppe Lupo, e l’ex capogruppo Antonello Cracolici.
In questo contesto ha rotto definitamente con il Movimento 5 Stelle. Al punto che il capogruppo all’Ars Giancarlo Cancelleri dice a Linkiesta: «Non lo sento da parecchio tempo, e francamente non mi interessa sentirlo». E i pentastellati, stufi di un governo regionale che da settimane non siede a Palazzo dei Normanni e si assenta ad ogni seduta, hanno prima rivolto una semplice domanda agli elettori, ai sostenitori del M5s, al popolo della rete: «Siete d’accordo se presentassimo una mozione di sfiducia ai danni di Crocetta?». Il 90% di essi ha risposto di sì, e il gruppo parlamentare del M5s ha depositato una mozione di sfiducia contro il governatore regionale. Cancelleri ha dichiarato: «In questi cinque mesi ha portato avanti soltanto spot ed appena cinque leggi tutte “manifesto”. Noi abbiamo presentato centinaia di proposte al Governo Crocetta che sistematicamente diserta l´aula e le commissioni parlamentari, di fatto bloccando tutto».
Una mozione di fiducia che è stata firmata ed elaborata anche dal gruppo parlamentare, composto da 4 deputati, che fa riferimento a Nello Musumeci, competitor di Rosario Crocetta per lo scranno più alto di Palazzo d’Orleans. Il regolamento dell’Ars prevede che una mozione di sfiducia per essere valida debba essere firmata da almeno 18 deputati. Sulla carta sembrava si fosse arrivata al numero. Poi uno del gruppo di Musumeci si è sfilato. Tal Carmelo Currenti ha fatto un passo indietro: «Non ne sapevo nulla, sono contrario alla mozione di sfiducia». E sotto nei corridoi di Palazzo dei Normanni tutti a trionfare, tutti, nessuno escluso, a fare il tifo affinché i capogruppo del M5s Cancelleri non trovi un deputato pronto a far saltare l’immobilismo dell’isola più sprecona d’Italia.
Del resto, spiega a taccuini chiusi un deputato regionale alla prima legislatura, «la prossima volta in virtù del ddl costituzionale approvato a Roma sulla riduzione del numero dei parlamentari siciliani si tornerà a votare con venti seggi in meno. Ha presente cosa sta a significare…». In realtà dopo ore di caos nei corridoi di Palazzo dei Normanni la diciottesima firma sarebbe pure arrivata. Ad immolarsi sarebbe stato il pdiellino Marco Falcone, che a Repubblica Palermo avrebbe affermanto: «Firmo la mozione perché da opposizione non possiamo ostacolare una sfiducia a un governo inefficiente come quello di Crocetta».
Già, l’opposizione. Allo stato attuale il governatore può contare su 36 parlamentari, un numero insufficiente per poter governare, essendo l’asticella della maggioranza fissata a 46 deputati. Ma, per dirla alla palermitana, «nun si voli susuri nuddu» (“Nessuno vuole alzarsi dalla sedia”). Del resto sia Cancelleri che Musumeci ci credono poco sull’esito della mozione: «Non ci facciamo illusioni», spiegano a Linkiesta. Ad ogni modo «la mozione servirà a mettere in luce chi per davvero vuole voltare pagina in Sicilia, e chi sotto traccia vuole restare seduto a Palazzo dei Normanni». Secondo l’ex sottosegretario Nello Musumeci, oggi presidente della commissione regionale Antimafia, i motivi che lo hanno spinto a firmare la mozione di sfiducia sono due: «Una mancanza di iniziativa legislativa da parte del governo, una carente iniziativa legislativa da parte del Parlamento».
Ma nella regione del Gattopardo e dell’arte dell’annacarsi nessuno crede che possa mai passare una mozione di sfiducia che di fatto interromperebbe la legislatura dopo circa un anno dal voto. Non ci credono persino gli esponenti del Partito democratico, che da tre settimane non sostengono più in Aula il governatore siciliano, e ci litigano per giunta. Infatti senza mezzi termini dicono: «Non voteremo mai una sfiducia contro Crocetta. Semmai potremo votare una mozione di sfiducia presentata dal nostro gruppo». Semplice. E di certo la mozione di sfiducia non la voterà il gruppo parlamentare del Pdl del “diversamente berlusconiano” Angelino Alfano. Anzi.
Sottotraccia i pdiellini teleguidati dal sottosegretario all’Agricolutura Peppe Castigliono, alfaniano e allo stesso tempo super-lettiano, lavorano affinché un gruppo di essi, almeno una decina, possano entrare in maggioranza. E a taccuini chiusi evocano «un patto istituzionale» simile al governo Letta, «che di certo ci vedrebbe protagonisti». Del resto, sussurra un parlamentare Udc, «con Crocetta non esistono più le categorie di destra, sinistra, e centro. Qui non si capisce più un ca…». Semmai, aggiungiamo noi, è facile comprendere perché si cercherà di far durare il governo Crocetta più a lungo possibile. Con una maggioranza, o anche senza maggioranza. Nel frattempo si dovrà aspettare il ritorno in Aula di Rosario Crocetta. Che ad oggi è stato calendarizzato per il prossimo 25 ottobre. L’immobilismo continua…