Nei giorni in cui si torna a parlare della richiesta di grazia per Silvio Berlusconi, la procura di Palermo decide di convocare il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per testimoniare sulla trattativa Stato-Mafia. «Un gesto intimidatorio» lo definisce una persona molto vicina al Quirinale, che ricorda anche come «siano passate appena 48 ore dalla sentenza che ha assolto Mori e sconfessato il pm Antonio Ingroia. Pura casualità?».
Dubbi tutti da verificare, certo. Eppure sorprende che nel giro di poche ore, da Palermo a Milano, il polverone giudiziario sia tornato ad alzarsi tanto sul Cavaliere che sul presidente della Repubblica. Già, perché in mattinata è un’altra notizia a scuotere i palazzi romani. I magistrati lombardi sarebbero pronti ad aprire una nuova inchiesta sull’ex premier.
Nel processo sulla trattativa Stato-Mafia, oggi la corte di Assise di Palermo ha ammesso la testimonianza del presidente della Repubblica, come chiesto dalla procura. Il teste Napolitano sarà chiamato a deporre sul ruolo e «le preoccupazioni espresse» in una lettera a lui indirizzata da parte del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. Una testimonianza “particolare”, data la posizione di Napolitano. «Nei soli limiti della conoscenza del teste che potrebbero esulare dalla funzione presidenziale e dalla riservatezza del ruolo», come specificano i giudici siciliani. Un’attenzione che pure non evita qualche polemica: intervenuta alla Camera per un’audizione in commissione Giustizia, nel pomeriggio il Guardasigilli Annamaria Cancellieri ha sottolineato la decisione «inusuale» della corte d’Assise palermitana.
Silvio Berlusconi invece potrebbe essere presto iscritto in una nuova inchiesta della Procura di Milano. Questa l’indiscrezione in arrivo dal palazzo di giustizia del capoluogo lombardo. Un’indagine da avviare entro i prossimi due mesi, ancora legata alle feste di Arcore. Un atto dovuto, secondo le voci di corridoio, a seguito del deposito delle motivazioni per i processi Ruby e Ruby bis, attese per la fine di novembre e i primi di dicembre. Tra gli indagati, sempre secondo indiscrezioni, il Cavaliere, i suoi legali e alcuni testimoni dei procedimenti in corso.
Vicende intrecciate, quelle di Berlusconi e Napolitano. Almeno da quando lo scorso agosto la corte di Cassazione ha confermato la condanna del Cavaliere per frode fiscale nel processo Mediaset. E da quando i quotidiani di centrodestra, da Libero al Giornale, hanno iniziato a sollevare il tema della grazia per il Cavaliere. Ed è proprio di questa estate l’unico comunicato in merito da parte del Colle: «Va chiarito – le parole di Napolitano – che nessuna domanda mi è stata indirizzata cui dovessi dare risposta». Una risposta lapidaria, tecnica, su cui si è molto discusso in questi mesi. Ma non ancora definitiva. L’ipotesi che da Arcore quella richiesta possa prima o poi arrivare esiste. In ambienti pidiellini se ne parla diffusamente. I figli di Berlusconi l’avrebbero già preparata, anche se fino a questo momento il Cavaliere ha fermato ogni iniziativa.
Il problema, per chi ha avuto modo in questi giorni di vedere Berlusconi, è su quale condanna chiedere la grazia. Su Mediaset appena andata in Cassazione? O meglio su Ruby, su cui però il terzo grado di giudizio potrebbe arrivare tra almeno due anni? Problemi che si sommano a problemi. Anche perché l’assalto delle procure di Milano e Palermo arriva a poche settimane dal voto del Senato sulla decadenza del Cavaliere da parlamentare. Il leader del Pdl non sembra ancora deciso sul da farsi. Già alle prese con le fibrillazioni all’interno del partito, nei continui vertici di Palazzo Grazioli Berlusconi è ancora alla ricerca di una soluzione per evitare – o quanto meno ritardare il più possibile – l’addio al Senato.
Del resto, nei dialoghi privati, il leader del Pdl continua a parlare di quello che gli avrebbe detto l’amico Vladimir Putin, presidente della Russia, ma anche ex agente del Kgb, profondo conoscitore di vendette politiche dei «comunisti», come ama spesso ripetere proprio Berlusconi. «Mi faranno fare la fine della Timoshenko – ha spiegato – il primo giorno protesterebbero in un milione, il secondo giorno in 750mila e poi più nessuno». Peraltro l’ipotesi di amnistia lanciata dal Quirinale pochi giorni fa non sembra aver convinto l’ex premier. Tanto per le resistenze di alcuni gruppi parlamentari – nel Pd più di qualcuno ha chiesto che i reati del Cavaliere fossero esclusi dal provvedimento – quanto per l’incertezza legata all’effettiva approvazione di un simile intervento. Dopotutto per licenziare il progetto serve l’ok di due terzi dei componenti delle due Camere. Una maggioranza probabilmente impossibile da raggiungere, specie dopo le pubbliche resistenze di Matteo Renzi.
Ecco allora che dalle parti di Palazzo Grazioli qualcuno confida ancora in un intervento diretto di Napolitano. Un atto di clemenza del Colle per tutelare la posizione di Berlusconi in seguito alla condanna Mediaset. Proprio ieri il capogruppo a Montecitorio Renato Brunetta è salito al Quirinale per incontrare il presidente della Repubblica. E i bene informati assicurano che al suo ritorno a Palazzo Grazioli qualche spiraglio per il futuro fosse ancora aperto.