Berlusconi, Grillo e Renzi: i troppi nemici di Letta

La bussola politica

“Siamo più forti di prima”, fa sapere Enrico Letta. E il presidente del Consiglio contrabbanda di sé l’immagine di un premier che non teme gli inciampi del destino, che anzi soppesa con soddisfazione il divorzio tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, malgrado  il futuro si sia fatto adesso persino più incognito per la grande coalizione. Per sua natura imprevedibile, il Cavaliere ha alternato toni aspri a modulazioni più carezzevoli di voce nei confronti del governo, ma la sua decadenza dal seggio senatoriale rimane lì, fissata per il 27 novembre, e anche qualora si ottenesse un rinvio, la decadenza resta uno di quei fatti così terribilmente certi, spigolosamente intrattabili, che né Berlusconi né Letta sanno bene come misurarlo nel quotidiano possibilismo della loro vita. Che farà il Cavaliere una volta decaduto? È questo il dubbio angoscioso cui né Letta né Giorgio Napolitano sanno trovare risposta. Alfano resta al governo, con i suoi trenta senatori e venti deputati, e dunque la maggioranza c’è, comunque vada. Ma se Berlusconi dovesse mettersi all’opposizione, a fianco di Beppe Grillo, rincorrendo la dolce e facile scia dell’antieuropeismo, cosa accadrebbe?

Non una crisi di governo, certo. Non subito, almeno. Ma l’urto poderoso dei due grandi populisti d’Italia, solidali nella comune inimicizia nei confronti di Napolitano e inclini entrambi ad accarezzare per il verso giusto il pelo ispido della serpeggiante antipatia nei confronti della Germania e della moneta unica, investirebbe con forza devastante quel fuscelletto che è oggi il Partito democratico, unico contrafforte rimasto solidamente a difesa della stabilità. Grillo ha già iniziato da tempo, puntando i suoi cannoni, carichi di grevità, contro l’Europa e contro il Quirinale. Berlusconi, che per il momento – almeno in pubblico – risparmia Napolitano, si è adesso posizionato bene, ha dato per inteso che la manovra non gli è affatto difficile, e sabato scorso s’è esercitato con un paio di sonore bordate contro l’euro “moneta straniera” e la Germania colpevole d’imporci il cappio dell’austerità. L’attacco congiunto di Grillo e Berlusconi avrebbe effetti di rilievo sulle componenti interne al Pd che l’8 dicembre, verosimilmente, si consegnerà nelle mani di Matteo Renzi, nuovo e strano segretario, animale dal grande fiuto politico, ambizioso, percepito come un corpo estraneo dalla sinistra classica, personalità poco incline all’immobilismo. 

E allora cosa farà il giovane e smanioso Renzi, lui che considera la segreteria del Pd poco più che un trampolino verso Palazzo Chigi, come si comporterà Renzi schiacciato tra il ribollire populista della destra grillante e la flemma eurocratica di Letta? Potrà accettare di sacrificarsi, davvero potrà rischiare il suo consenso, il suo stesso futuro, per restare a fianco d’un governo colpito duramente dalla logica e dalla propaganda, tanto facile quanto efficace, che Berlusconi e Grillo sarebbero in grado di mettere in scena per mesi? Forse no. E a quel punto, con Renzi, i nemici del governo diventerebbero troppi: i tre mostri politici più efficaci e comunicativi d’Italia, tra loro avversari eppure solidali, impossibile resistere, persino per un uomo solido come Napolitano. Ed è così che deve sentirsi davvero Letta in queste ore incerte; sospinto verso il buio, non verso la luce, appesantito fra soprassalti, elisioni e rigurgiti dubbiosi.

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