Ma veramente ritorna? Il nuovo protagonismo di Antonio Bassolino, rafforzato dall’assoluzione nel processo per l’emergenza rifiuti a cui la sua carriera è stata inchiodata, induce a immaginare clamorosi scenari: ricandidarsi a sindaco di Napoli. Forse solo suggestioni, com’è ovvio puntualmente smentite dall’interessato. Il che conta fino a un certo punto: qualche tempo fa a Bassolino si è attribuito un sorprendente appoggio a Renzi, sempre negato, fino al giorno in cui ha dichiarato… che avrebbe votato per Renzi. Per la cronaca: nella provincia partenopea il voto tra gli iscritti ha premiato il sindaco fiorentino col 45% contro il 32 di Cuperlo, ma in città l’esito è opposto, con Cuperlo al 40% contro il 33,5 di Renzi.
Certo si potrebbe chiedere a Bassolino perché non abbia votato il rottamatore quando sfidò Bersani appena un anno fa, e forse lui risponderebbe con la scelta convinta della personalizzazione della politica che Bassolino, che non ha certo fama di provocatore ma ha il coraggio di scelte sorprendenti, ha sempre considerato positiva: personalizzazione non nel senso dei partiti personali, ma nella incarnazione in leader forti di programmi e idee. Idea poco popolare nel suo partito, come certamente poco popolare e condiviso è il suo elogio della celebre performance di Berlusconi a “Servizio pubblico” con Santoro e Travaglio (compresa la gag della pulitura della poltrona col fazzoletto) o la traversata a nuoto dello Stretto di Messina da parte di Grillo: hanno fatto capire che c’erano, hanno mobilitato i loro elettori, sostiene l’ex (e forse prossimo) sindaco di Napoli, tristemente riandando col pensiero alle ardite metafore di Bersani in campagna elettorale, quando paragonò il Pd a una lepre, che se è vero che corre avanti a tutti, lo fa perché dietro ha il cacciatore che spara per accopparla… Sono riflessioni che Bassolino sviluppa nel suo recente libro, “Le Dolomiti di Napoli” (Marsilio editore). Titolo che spiega il carattere fermo, roccioso, in buona sostanza diversamente napoletano di questo napoletano che è stato a lungo il più popolare leader meridionale. Le Dolomiti sono i luoghi amati delle vacanze estive, delle lunghe passeggiate ad alta quota; ma anche la palestra che è tornata più utile, perché le discese tra i burroni insegnano a gestire il declino, quello che a Bassolino è toccato uscendo dalla Regione Campania nel pieno dell’emergenza rifiuti coi mucchi dei sacchetti dell’immondizia alti due piani e su tutte le televisioni del mondo.
L’assoluzione di pochi giorni fa lo riabilita per la solitudine di questi ultimi anni, in fondo al cuore essendo convinto di aver pagato anche per responsabilità non sue: in un bel libro dedicato proprio a Bassolino, “Napoli non è Berlino. Ascesa e declino di Bassolino e del sogno di riscatto del Sud” di Isaia Sales, sottosegretario nel primo governo Prodi, deputato dei Ds, a lungo a fianco di Bassolino fino alla rottura, si legge come la soluzione alla crisi dei rifiuti, attuata da Berlusconi, era già chiara tra “militarizzazione dei siti e centralizzazione della competenza della magistratura, così da evitare per un lasso di tempo di chiudere discariche e impianti”, solo che era impercorribile per la presenza nella coalizione della sinistra radicale e ambientalista, coalizione che Bassolino aveva inaugurato nel 2005, in parte subendola, perché non avrebbe voluto ripresentarsi ma fu costretto perché l’anno successivo si sarebbe votato per Palazzo Chigi (Prodi avrebbe vinto, ma dopo poco cadendo proprio nel corso di una nuova emergenza rifiuti campana). Bassolino, pur senza dirlo apertamente, in fondo sembra pensare che il grande salto gli è stato sempre sbarrato proprio da Roma: da enfant prodige del Pci (a 16 anni già segretario di sezione, a 23 consigliere regionale), dopo la seconda sindacatura avrebbe potuto lanciarsi da Napoli alla guida dei Ds, ma era stato per tempo affondato col ministero del Lavoro nel governo D’Alema, in cui dovette affrontare pure il dramma terrorista dell’omicidio D’Antona. Poi le difficoltà alla guida della Regione Campania nel secondo mandato. E in fondo anche adesso: quasi nessuno ha speso una parola per la assoluzione, dopo che quasi tutto lo avevano messo alla sbarra nel pieno dell’emergenza e dopo il rinvio a giudizio.
Bassolino non ne parla, piuttosto scrive, sostiene di non nutrire ambizioni. Eppure, lui che anche narrativamente ha giocato benissimo l’esperienza da sindaco quando sulla stampa di mezzo mondo si parlò di “rinascimento napoletano”, per certi versi già va componendo la mitologia del suo ritorno. Lo fa per esempio descrivendo il teatro San Carlo di Napoli, il luogo più prestigioso di Napoli, affollato all’inverosimile per la presentazione del suo libro e la cui platea “era come un palazzo del centro antico: raccoglieva tutte le classe sociali, dalla gente umile dei bassi, agli impiegati e i professionisti dei piani mediani, fino all’aristocrazia dei piani alti. Tutti insieme, come non si vedevano da tempo”. In una città già delusa dalla rivoluzione arancione di De Magistris, cui Bassolino riconosce il fiuto di aver capito che “Napoli non voleva in quelle elezioni una scelta moderata di destra o di sinistra, ma una rottura con i partiti”, forse si prefigura una voglia di moderazione, o almeno di affidabilità. E allora…
Succederà o meno, è forse finito il lungo silenzio di Bassolino: ora comincia a intervenire anche sul recente passato, per esempio l’esperienza del governo Monti: per lui non doveva esserci ma si doveva andare al voto come in Spagna, che aveva la nostra stessa situazione e oggi ha indicatori migliori dei nostri. In qualche modo è già tornato. Il ritorno di Sant’Antonio, come dice in toni provocatori Claudio Velardi, per molto tempo al suo fianco. Dopotutto lui è fin troppo chiaro al riguardo: «Se mi chiederanno una mano, la darò volentieri; se non me la chiederanno… la darà lo stesso».