Quello degli ultimi anni è un bollettino di guerra per le imprese: la crisi fa tabula rasa tra le piccole e insidia pure qualche grande, costringe a chiudere i battenti oppure a ridimensionare numeri e produzione. In un panorama a metà tra il dramma e la desertificazione, c’è anche chi resiste e rilancia, il Made in Italy che forse non fa notizia ma in tempi di congiunture atroci viaggia col segno più. Siamo a Pesaro, patria di Gioacchino Rossini e Valentino Rossi, città laboriosa e storicamente “rossa” dove alle ultime elezioni il Movimento 5 Stelle ha incassato il 33% dei consensi. Quello pesarese è uno dei distretti del mobile più importanti d’Italia: il sistema legno-arredo marchigiano conta 24.700 addetti e 2.800 unità locali, metà delle quali sono concentrate nella provincia di Pesaro-Urbino, messa a dura prova dalla crisi di questi anni.
Qui, tra mare e collina, sono nati i big della cucina come Febal, Berloni (oggi in mani taiwanesi), Composit, Pedini, Aster. E qui c’è Scavolini, azienda leader nella vendita di cucine componibili con 550 dipendenti (670 aggiungendo la controllata Ernestomeda) occupati nei 200.000 metri quadrati dello stabilimento di Montelabbate a dieci chilometri dal centro città. Per l’azienda pesarese è partito tutto nel 1961 quando Valter Scavolini, figlio di mezzadri, aprì insieme al fratello Elvino un piccolo laboratorio artigianale. Con Linkiesta il patron parla di «un’avventura in prima persona», sottolinea il filo rosso del fattore umano che ancora oggi permea «il senso di appartenenza all’azienda da parte mia e dei dipendenti».
«Erano anni tosti, la mamma di Scavolini veniva qui a comprare le camicie per i figli che lavoravano in bottega, le prendeva a credito», racconta un commerciante in pensione, ex titolare di un negozio di abbigliamento nella centralissima via Branca. Partiti da zero, anzi da una bottega, i due fratelli (Elvino è scomparso nel 2004) sono diventati leader italiani nel settore di riferimento. Gli ultimi dati diffusi dal quartier generale registrano una quota di mercato dell’8,5% (10 quella del gruppo) e un fatturato 2012 pari a 174 milioni di euro con crescita a doppia cifra sui mercati esteri (+10% per Scavolini e +14% per il gruppo). Numeri che fanno girare la testa, ma non a Valter che a 71 anni si alza alle 6.45 del mattino per essere in ufficio alle 8.30, dove lavora sul prodotto e incontra gli architetti. Poi la sera c’è tempo per una passeggiata in campagna o un giro in bici, mentre la domenica prende posto al Palasport per le partite della Vuelle, squadra di basket di serie A che lui, con sponsor e milioni, ha portato tra le big d’Europa.
Nessun licenziamento o cassa integrazione, nemmeno una delocalizzazione. Com’è possibile? Con una congiuntura economica sfavorevole e il mercato interno fermo, Scavolini viaggia in corsia di sorpasso. È la storia di chi negli anni ha lavorato da formica per poi affrontare la crisi con una parola d’ordine: investire. Il che, tradotto nei fatti, ha significato rinnovare la linea produttiva, coprire il tetto dello stabilimento di pannelli fotovoltaici che garantiscono il fabbisogno energetico della fabbrica, ampliare la gamma dell’offerta affiancando alle cucine anche l’area living e il bagno. Ma riscoprire pure collaborazioni con designer e altri brand di richiamo, come nel caso della Social Kitchen realizzata insieme a Diesel. E ancora investimenti nel retail con negozi brandizzati in giro per il mondo, il tutto condito da massicce campagne marketing. Racconta a Linkiesta Vittorio Renzi, direttore generale di Scavolini: «Investire è stato possibile perché ci siamo fatti trovare dalla crisi con tutte le carte in regola per poter giocare una partita all’attacco. Buona patrimonializzazione, assenza di debiti, soluzioni avanzate dal punto di vista tecnologico e informatico, un brand forte, così siamo stati in grado di affrontare con successo questa congiuntura continuando a presentare progetti. Nei momenti di crisi le aziende non devono arrestarsi, ma investire per mantenere alti gli standard qualitativi affrontando la concorrenza e i nuovi mercati».
Sin dagli anni Settanta il cuciniere pesarese puntò forte sulla comunicazione. Bisognava far conoscere l’azienda al grande pubblico e vennero arruolate testimonial nazionalpopolari del calibro di Raffaella Carrà e Lorella Cuccarini, che grazie agli spot tv hanno portato i mobili pesaresi in giro per l’Italia con lo slogan «La più amata dagli italiani». Ben presto quello di Scavolini è diventato un caso di studio per università e concorrenza. Oggi la strategia non cambia, si continua ad “aggredire” i media: tv e cinema, internet e carta stampata. «Usiamo tutti i mezzi perché vogliamo essere il più possibile capillari e raggiungere tutti», dice il patron. Gli fa eco Renzi: «La comunicazione fa parte del dna Scavolini, proprio a causa della profonda evoluzione dei mercati anche il consumatore è sempre più informato e sensibile alle leve di comunicazione, pertanto non bisogna mai smettere di comunicare. Piuttosto occorre instaurare un rapporto di fiducia costante con il cliente, per trasmettergli il valore della propria offerta. E la competizione si gioca sempre più sulle politiche di branding, il pubblico non sceglie più tra prodotti ma tra marchi».
Nel 2013 Scavolini è un’azienda locale e globale. La testa in provincia, le braccia nel mondo. Perché a Montelabbate, paese di 6.000 abitanti conosciuto per i capannoni industriali e le pesche doc, resta l’impianto produttivo con operai, camion e magazzini. Ma il business Scavolini, soprattutto oggi che il mercato interno langue, guarda oltre le colline di casa nostra. Russia e Nord America in primis, con negozi e rappresentanti a presidiare i cinque continenti. «L’attenzione – chiosa Renzi – sarà focalizzata anche su paesi emergenti come Cina, India e continente africano». Tutto a partire dal quartier generale marchigiano. «La nostra sede – spiega Valter Scavolini – rimane con orgoglio Pesaro, ma Scavolini è una realtà internazionale e lo dimostra il primo flagship store Scavolini a New York, il più grande punto vendita di cucine di tutta Manhattan». Nel 2013 il cuciniere ha piazzato dieci nuove aperture in Italia e altre in Russia, Nigeria, Colombia, Filippine e Libano, mentre per gennaio 2014 è atteso, tra gli altri, il taglio del nastro a Chicago. Il risiko biancorosso esibisce ottanta punti vendita monomarca nel Belpaese e sessanta all’estero, cui vanno aggiunti i mille negozi che vendono cucine Scavolini in Italia e altri trecento in giro per il mondo.
Locale, si diceva. Le ricadute sul territorio parlano di un indotto che, tra fornitori e maestranze, Il Sole 24 Ore stimava in 2.000 persone appena un anno fa. Poi c’è lo sport, con le sponsorizzazioni alle locali squadre di basket e pallavolo. Sul parquet Scavolini ha accompagnato la Vuelle per 38 anni vincendo scudetti e coppe in giro per l’Europa. Il presidente-tifoso, inserito nella Hall of Fame della pallacanestro italiana, porta spesso la squadra a pranzo nella mensa della fabbrica. Molte gioie pure dal volley femminile, dove sotto le insegne Scavolini la locale Robur ha intascato tre scudetti, due Champions e svariate coppe nazionali. Infine c’è la fondazione che sostiene il recupero e la conservazione di beni culturali, oltre alla promozione della rassegna lirica Rossini Opera Festival. «Non volevamo limitare gli interventi unicamente alle sponsorizzazioni, ma dare più incisività ad un’attività sociale attraverso un progetto teso a valorizzare la cultura della nostra città e della nostra regione». Mecenatismo e beneficenza vanno di pari passo con le cucine, in una provincia che al nome di Scavolini si leva il cappello.
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Sembra una favola, ma la crisi lascia tracce anche a Montelabbate. Valter Scavolini spiega: «Per decine di anni abbiamo camminato con aumenti del fatturato tra il 5 e il 10%, forse quest’anno chiudiamo con un calo di uno o due punti, ma mai con i conti in rosso. La congiuntura negativa ha solo limitato gli utili, ma non abbiamo mai fatto cassa integrazione e il personale è aumentato di una decina di unità». Roba da marziani. Eppure il patron vive in Italia e ha le idee chiare su cosa chiedere alla politica: «Mi sta a cuore il costo del lavoro per le aziende. Da una parte mi piacerebbe aumentare il potere d’acquisto dei dipendenti, dall’altra ritengo che molte realtà imprenditoriali riuscirebbero a ripartire e ad assumere nuove risorse se il costo lordo di ogni singolo lavoratore fosse più basso. Ad un’azienda un dipendente costa il doppio rispetto al salario che il singolo percepisce, questo fa sì che l’imprenditoria italiana perda competitività con l’estero».
La marcia di Scavolini prosegue con le nuove generazioni. «A lavorare con me – dichiara il patron – ci sono due dei miei figli e due dei miei nipoti. A ricoprire il ruolo di direttore generale c’è però una persona esterna. Insieme a lui sono tanti i manager che non appartengono alla famiglia ma che assicurano sviluppo all’azienda. È stato importante trovare il giusto equilibrio tra membri della famiglia e figure del management esterne». Intanto il dg Vittorio Renzi lancia la sfida al futuro, quella che potrebbe essere la stella polare per chi fa impresa in tempi di crisi: «Bisogna continuare a investire in ricerca e sviluppo, mantenere alta la qualità della produzione e lavorare sullo sviluppo della rete commerciale all’estero, questi sono investimenti che a breve termine possono risultare onerosi ma a lungo termine ripagano degli sforzi profusi». Ne sa qualcosa Scavolini, che dopo cinquant’anni di attività è ancora la più amata dagli italiani.