Il sentimento anti-euro, almeno in Italia, è sempre più forte. Sono almeno quattro i fronti principali della protesta contro la moneta unica, considerata la vera piaga dell’economia italiana, come se scarsa competitività, rigidità del mercato del lavoro e un fisco asfissiante non fossero fra le cause della debolezza del Paese. E non è un caso che le preoccupazioni di Bruxelles, come anche quelle della comunità finanziaria, siano sempre più elevate. Poco più di un mese fa, Moody’s lo aveva detto chiaro e tondo: «Le possibilità che un partito politico guadagni il potere sulla base di una piattaforma che preveda un’uscita dall’euro rimangono non trascurabili, alla luce dei continui rischi politici in Paesi come, tra gli altri, Italia e Grecia». Dietro a quel «non trascurabili», ci sono tante facce di una stessa medaglia.
Il primo fronte, quello più nutrito, è rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio desiderano un referendum sull’euro, per tastare il polso agli italiani. Sono per l’abolizione del Fiscal Compact, per la nascita degli eurobond e per un’eventuale alleanza strategica fra i Paesi dell’eurozona periferica al fine di creare un euro-bis, ad hoc per quest’area economica. Inneggiano alla sovranità monetaria, alla fine dello strapotere delle banche internazionali, del Bilderberg e di qualunque cosa che si avvicina alla finanza. Ma in pochi, quasi nessuno, porta numeri e analisi a supporto delle proprie tesi. Gli slogan contro la divisa comunitaria sono ben riconoscibili a tutte le uscite pubbliche del M5S e, come ribadito dallo stesso Grillo in più occasioni, è anche grazie a questo approccio aspro verso l’euro (ma anche l’Europa) che il risultato positivo alle ultime elezioni è stato così ampio. In ottica 2014, è facile attendersi un ulteriore spinta populista, capace di aggredire la pancia degli italiani. Non si può escludere nemmeno un accordo programmatico, una sorta di fronte comune, con gli altri due top player della politica euroscettica italiana, Lega Nord e Forza Italia.
Il secondo versante, che ritorna dopo anni di euroscetticismo latente, è quello della Lega Nord. La svolta data dal neo segretario Matteo Salvini è netta e decisa. Secondo Salvini bisogna iniziare al più presto una discussione sull’euro, considerata uno «strumento criminale messo in mano ai banchieri». Non solo. Rispondendo alle ultime parole del presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ha usato toni di fuoco. «Sull’uscita dalla moneta unica non abbiamo la bacchetta magica, non c’è niente di semplice», ha iniziato Salvini. Il numero uno della Lega ha poi spiegato quale sia la sua idea: «Quello che è certo è che con l’euro andiamo a fondo. L’alternativa possibile è un Europa con due monete, attraverso una uscita concordata con Francia, Spagna, Grecia, i paesi più massacrati dai tedeschi». La Lega ha spinte protezioniste, preferisce l’autarchia al mercato libero e, nei fatti, potrebbe sposare l’idea di ripudiare parte del debito italiano, tanto vicina al Movimento 5 Stelle e altre frange che vedremo fra poco.
Il terzo fronte è quello più mellifluo, più potenzialmente pericoloso. Si tratta di Forza Italia, rinata sulle ceneri del Popolo della libertà e già con una forte componente di critica nei confronti della spinta europeista voluta da Commissione europea, Germania e Francia, più gli attuali governi di Spagna e Italia. Meno radicale di M5S e Lega Nord, la Forza Italia che sarà alle prossime elezioni europee avrà una connotazione anti Germania, e quindi anti Bruxelles. Revisione del Fiscal Compact, messa in discussione dell’attuale area euro, ribilanciamento dei poteri all’interno della stessa: sono tutti temi, cari all’ideologia di Grillo e Salvini, che Silvio Berlusconi e i suoi utilizzeranno per farsi strada nella lunga corsa alla tornata elettorale europea del maggio 2014. La tentazione di usare la leva populista è forte. E considerando la campagna mediatica già messa in atto, è legittimo pensare che ci possa essere un inasprimento della dialettica anti-euro nei prossimi mesi.
Poi, e lo stiamo scoprendo in questi giorni, ci sono movimenti politici più o meno organizzati, facenti parte tanto a un colore politico quanto a quello opposto. Casapound, Rifondazione comunista, Forconi, Movimento 9 Dicembre: tutti hanno un punto di vicinanza. Al grido di “Basta euro” o “Basta Europa dei banchieri e del turbocapitalismo”, raccolgono sempre più consensi fra i cittadini, stanchi e in collera per la peggiore crisi economica dal Secondo dopoguerra. Essendo perlopiù formazioni extraparlamentari, non è chiaro quanto sia la loro forza e il radicamento all’interno della società. Quello che è certo è che l’euroscetticismo sta dilagando. E se, come ha registrato un sondaggio Acri-Ipsos 2013, il 74% degli italiani è insoddisfatto dell’euro, è facile capire quale sarà il fenomeno del prossimo anno.
Infine, c’è tutto il sottobosco anti-euro che fa la spola fra un social network e l’altro, con diverse puntate in programmi televisivi come “La Gabbia”, di Gianluigi Paragone. Si tratta di un fenomeno specifico, con diversi esponenti di spicco. Fra questi due professori dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, cioè Alberto Bagnai e Antonio Maria Rinaldi, più un docente della Cattolica di Milano, Claudio Borghi. Ma c’è anche il giornalista Paolo Barnard, co-fondatore di “Report” e il numero, almeno in via telematica, cresce sempre di più. Si muovo sciolti e veloci sui social media, specialmente Twitter, attaccando gli esponenti del “PUDE”, che altro non è che il “Partito Unico Dell’Euro”, termine dispregiativo per affiliare sotto un’unico cappello chi ritiene che si possa uscire da questa crisi solo con più Europa, e mantenendo una valuta comune. Il ritorno alla Lira è il loro cavallo di battaglia e l’obiettivo che vogliono raggiungere, sicuri che non ci sarebbero squilibri monetari, ma anzi prosperità e benessere. Anche in questo caso, non è facile decifrare l’entità del movimento, né si può escludere a priori un ammiccamento politico in vista delle europee del prossimo anno.
Che sia l’eurozona sia l’Europa abbiano bisogno di essere rivisti in profondità, è fuori discussione. Ma deve essere fuori discussione anche quanto l’Italia ha giovato dall’ingresso nella moneta unica. Protezione dalle fluttuazioni valutarie, copertura dai rischi di cambio, agevolazioni tramite il Single market, meno svalutazioni competitive, meno protezionismo. Sono questi i benefici dell’introduzione dell’euro in Italia. Di contro, non esistono altro che proiezioni su quale sia l’effetto di una fuoriuscita dall’eurozona. Il tutto tenendo conto che gli attuali trattati europei non prevedono l’uscita dall’area euro, ma solo dall’Europa. Per fare un esempio dell’incertezza dietro a una soluzione così drastica, in tanti – specie al Tesoro statunitense – ritenevano che fosse possibile far fallire Lehman Brothers, la quarta banca americana, senza avere particolari ripercussioni sulla finanza globale. I fatti hanno dimostrato altro. Si vuole provare anche con l’euro?