Portineria MilanoLombardia, la truffa sanitaria per sperimentare Stamina

Inchiesta Vannoni

Aggiornamento del 19 gennaio – Concluse le indagini a Torino da parte del pubblico ministero Raffaele Guariniello. Sarebbero 20 gli indagati, fra cui lo stesso Vannoni, in un’inchiesta portata avanti dalla procura piemontese. Altri 12 indagati avevano già ricevuto la notifica di chiusura delle indagini ad agosto del 2012. Oltre al presidente di Stamina Foundation, sarebbero indagati anche manager e medici che avrebbero aiutato il metodo Stamina ad essere applicato all’interno degli Spedali Civili di Brescia, ospedale pubblico d’eccellenza. Fra i manager lombardi, fra gli indagati ci sarebbe anche Luca Merlino, dirigente di Regione Lombardia e una delle prime persone a sperimentare il “metodo”, oltre a dirigenti degli Spedali Civili come Ermanna Derelli, direttrice sanitaria, Arnalda Lanfranchi, responsabile laboratorio, Carmen Terraroli, responsabile segreteria scientifica comitato etico, Gabriele Tomasoni, responsabile anestesia rianimazione, Fulvio Porta, oncologo pediatra, stando a quanto ha anticipato La Repubblica. Indagata anche la madre di una bambina malata, per la diffusione di un video che avrebbe violato la privacy della figlia.

Come mai la «sanità virtuosa, il sistema che funziona meglio» della Lombardia (© Roberto Formigoni) è scesa a patti con il presidente di Stamina Foundation Davide Vannoni (docente di psicologia, neppure medico e sotto indagine dal 2011 dalla Procura di Torino da Raffaele Guariniello, ndr) stringendo un accordo così importante con gli Spedali Civili di Brescia, un ospedale d’eccellenza?

È questa la domanda che circola da settimane al grattacielo Pirelli, sede del Consiglio regionale della Lombardia, dove le opposizioni stanno cercando di capire quanto sia pesata sulle casse della regione e dei cittadini lombardi questa sperimentazione che non ha avuto, secondo gli esperti del primo Comitato istituito dal ministero della Salute, alcun effetto positivo sui pazienti. Ma il quesito, secondo indiscrezioni, se lo starebbero ponendo anche i magistrati nelle procure di Brescia e Milano, che stanno seguendo l’evoluzione dell’inchiesta di Raffaele Guariniello a Torino sulle infusioni di cellule staminali.

La questione, però, è molto più ampia. Non riguarda infatti solo l’attuale giunta di Roberto Maroni, insediatasi nel 2013, ma pure quella precedente di Roberto Formigoni, quando come assessore alla Sanità c’era il leghista Luciano Bresciani. Ma soprattutto quando la poltrona di direttore generale era nelle mani del potente Carlo Lucchina, sotto indagine in due inchieste della procura di Milano, quella sul Teleospedale e un’altra sui finanziamenti regionali degli ospedali lombardi. «Non si muove foglia che Lucchina non voglia» è stato il refrain per molti anni al Pirellone.

Del resto il nome di Lucchina, direttore generale della sanità ciellino è comparso in diverse indagini che hanno toccato in questi anni l’amministrazione sanitaria lombarda, dalla Fondazione Maugeri al San Raffaele, con al centro il faccendiere Pierangelo Daccò, condannato concorso in bancarotta e associazione per delinquere finalizzata a frodi fiscali, appropriazione indebita e distrazione di beni. E, caso vuole, che nella vicenda che ha consentito alla Fondazione Stamina di entrare negli Spedali di Brescia, tra i migliori ospedali in Italia, ricopra un ruolo da protagonista Luca Merlino, attuale direttore vicario e braccio destro di Lucchina per molti anni, anche lui finito tra le carte dell’inchiesta sulla Maugeri e del San Raffaele di Don Verzè: le sue dichiarazioni come testimone furono decisive per iscrivere nel registro degli indagati, con l’ipotesi di corruzione, proprio Formigoni.

Merlino è affetto da una malattia degenerativa. Nell’ultima puntata di Presa Diretta è stato tirato in ballo da Marino Andolina, socio di Vannoni e anche lui indagato, che ha spiegato come Stamina Foundation entrò in Regione Lombardia grazie alle pressioni di alcuni dirigenti e a parenti di malati «raccomandati». Merlino, in un’intervista a Avvenire di lunedì scorso, ha respinto le accuse: «È un soggetto inquisito e ha tutto l’interesse a gettare fango su altri». Ma nel corso dell’intervista c’è un passaggio non chiaro. Merlino spiega di aver fatto solo «tre infusioni», eppure è stato il primo a essere curato e a quanto pare le il trattamento sarebbe ancora in corso. Quello che però non dice Merlino riguarda le responsabilità dell’approdo del metodo Vannoni a Brescia. Perché fu proprio lui, il direttore vicario, a gestire l’accordo tra la regione e la Fondazione Stamina nel settembre del 2011. Lo confermerebbero mail e documenti.

Lo storia inizia il 21 giugno del 2011, quando la dottoressa Carmen Terraroli, responsabile del Coordinamento Ricerca Clinica dell’Azienda Ospedaliera bresciana, chiede al dottor Carlo Tomino, dirigente dell’Aifa, chiarimenti «per il comportamento da adottare per richieste di terapia cellulare somatica per malattie particolari con tecniche con il supporto di Stamina Foundation Onlus». Il 27 giugno Tomino spiega il «loro utilizzo non può essere autorizzato», ma dopo un mese cambia idea. E il 1° agosto scrive al direttore degli Spedali di Brescia che «non si ravvedono ragioni ostative al trattamento indicato», anche se la documentazione non è stata ancora presentata. E il 5 agosto il nulla osta con all’interno l’autocertificazione sulla sperimentazione Stamina viene inviato allo stesso Merlino che risponde ringraziando. 

Eppure, come si legge nella relazione ministeriale (in fondo all’articolo), da pagina 14 in poi, i parametri sul decreto «del 2006 sulle cure compassionevoli», non vengono rispettati. «Non risultano in linea con quanto richiesto». E aggiunge: «Il laboratorio di Cellule Staminali dell’Azienda Spedali Civili non aveva la richiesta pregressa esperienza di preparazione di medicinali per terapia cellulare somatica». Il laboratorio bresciano può produrre solo cellule staminali emopoietiche, non mesenchimali che richiedono standard di sicurezza molto più elevati. Per superare l’impasse ci vorrà una nota firmata proprio da Merlino il 17 agosto del 2011 («posteriore a quella dell’autocertificazione») dove viene richiesta «modifica di assetto accreditato in cui si certifica il possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente». In poche parole, secondo le carte del ministero, l’ingresso di Stamina agli Spedali di Brescia viene certificata con un paio di mail e una certificazione persino successiva. Non solo. Le incongruenze continuano pure nel 2012.

La relazione è molto dettagliata. Ci sono carenze di ogni tipo, da quella sulle pubblicazioni scientifiche a quella sul protocollo medico, da una «non definita identità del prodotto» utilizzato, alla mancanza di personale o alla convalida e processi produttivi. Sono tutti elementi che fanno scrivere agli ispettori che «risulta evidente come la preparazione dei prodotti medicinali nell’ambito della collaborazione con la Stamina, diversamente dalla preparazione di cellule emopoietiche per trapianto, richieda l’osservanza di una serie di requisiti più stringenti». Manca qualsiasi cosa, la documentazione clinica, quella sui pazienti, le firme, persino quella su quante infusioni sono state fatte. Insomma, cose che hanno poco a che vedere con «la virtuosità lombarda».  

Sarà l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) il 15 maggio del 2012, dopo un’ispezione dei Nas, a bloccare la sperimentazione Stamina. E caso vuole che anche su questo ci sia un piccolo giallo da registrare. Perché nel giugno del 2012 in Aifa ci arrivò proprio Lucchina, nominato dall’allora ministro Renato Balduzzi, come presidente del Comitato prezzi e rimborso. Si dimetterà una settimana dopo, in seguito alle indagini della magistratura sulla sanità in Lombardia. Un piccolo conflitto di interessi? E perché Balduzzi decise di nominare un personaggio così potente della sanità in una posizione così delicata? 

I mesi successivi al blocco sono fatti di dolore e carte bollate, tra le famiglie che hanno scelto di ricorrere in giudizio per poter continuare le cure e la regione Lombardia che si è ritrovata a difendersi in sede legale di fronte al Tar. Il Pd ha chiesto in questi giorni al vicepresidente e assessore alla Sanità di regione Lombardia Mario Mantovani di intervenire in commissione, ma fino adesso il politico di Forza Italia non ha ancora dato risposta. «Se non avremo risposte esaurienti investiremo il Consiglio della necessità di istituire una commissione d’inchiesta», dicono Gian Antonio Girelli e Alessandro Alfieri, consigliere e capogruppo dei democratici in Consiglio regionale. 

La giornalista Francesca Lozito, che segue da tempo il caso, su Lettera43 ha fatto un calcolo su quanto possa essere costata la sperimentazione, prendendo come spunto la mozione del 22 ottobre del 2013 approvata dal centrodestra in Lombardia. Si parla di 10mila euro come «cifra pagata dall’ospedale per ogni paziente che arriva a completare il corso delle cinque infusioni. Considerando che coloro che hanno raggiunto la fine della cura o sono in dirittura di arrivo sono 36, il totale a carico del nosocomio bresciano è di 360mila euro».  A questo si aggiungono le spese legali messe a bilancio dell’ospedale: 500mila euro dispese legali». Insomma, quasi un milione di euro. Ma intanto Formigoni e Maroni continuano a tacere. E proprio oggi Vannoni ha pubblicato sulla sua pagina Facebook l’ultima diffida dell’Aifa. Come ha fatto ad averla?