Retro-tax dello Stato: ti dà i soldi e poi li richiede

Lo scivolone sul bonus da 150 euro

In un paese civile, anglosassone, meritocratico, questa storia finirebbe con una scena così. Anno 2030 esterno giorno, una villetta con giardino in un quartiere residenziale della Capitale. Un postino domanda ad un signore con un ciuffo bianco seduto su una sdraio: «Che strano, dottor Saccomanni: l’indirizzo è il suo ma sulla lettera ci sono disegni osceni e insulti». Il signore anziano risponderebbe con un sospiro: «Lasci perdere. Deve essere un professore: me lo merito… Pensi che un tempo io ero ministro!». 

In un paese civile il ministro Saccomanni, ma anche gli altri colleghi del governo che votato un simile provvedimento sarebbero macchiati per sempre, segnati con una lettera scarlatta, e dovrebbero presentare subito dimissioni per l’indecorosa vicenda dello scatto da 150 euro del 2013 dei professori, votato a grande maggioranza, trasformato in decreto, presentato come irrevocabile, e poi cancellato e ripristinato con un tweet di Enrico Letta. 

In questa storia grottesca è stato superato un punto di non ritorno: non era mai accaduto infatti, nella sconfinata zoologia della tassazione italiana,che lo Stato chiedesse indietro – a distanza di un anno – una somma già erogata. La cancellazione dello scatto di anzianità (già percepito!) per 80mila professori italiani, infatti, non ha provocato rivolte di piazza solo perché i professori sono tendenzialmente una categoria pacifica e non violenta. Eppure mentre si annuncia un precipitoso indietro tutta dovremmo interrogarci su questo precedente ripetendoci che se oggi poteva accadere ai professori domani sarebbe potuto accadere a chiunque: l’istituzione di una tassa retroattiva. 

La “retrotax”, la tassa di chi ti chiede indietro dei soldi che ti sono già stati erogati è molto peggio di un prelievo forzoso: è l’alterazione di un principio che dovrebbe essere garantito dalla Costituzione. Se tu Stato mi chiedi indietro i soldi che mi hai già dato, viene meno un principio fondante del diritto. E una volta che questa linea viene attraversata, che cosa può impedire che si continui sulla stessa falsariga? Facciamo un riassunto dell’incredibile progressione a cui abbiamo assistito, solo negli ultimi mesi: al popolo delle partite Iva si è chiesto di pagare un acconto tasse del 90% del precedente reddito, prima della fine dell’anno fiscale, e quindi prima di aver (eventualmente) riguadagnato quella cifra. Alle imprese, con la stessa disinvoltura, si è chiesto un acconto del 100 per cento. Alle assicurazioni (che presumibilmente si rivalgono sui consumatori) un acconto del 110 per cento. 

A molti di coloro a cui era stata solennemente annunciata la cancellazione dell’Imu, è stata già reintrodotta la nuova Imu, (pudicamente camuffata con l’appellativo vezzeggiativo di Mini–Imu), sia pure con un pagamento differito di un mese. Il capolavoro di questo governo è la capacità di creare tasse che sono contemporaneamente retroattive e posticipate. Il prelievo forzoso è una tassa una tantum che si abbatte sui conti correnti: ma è meglio di questo continuo balletto di cifre perché non alimenta la continua incertezza, non è una linea che si muove di continuo. Immaginate che cosa accadrebbe se la finanziaria che vi ha fatto le rate per il frullatore o il televisore con un interesse del 3% che produce una rata da 100 euro improvvisamente dicesse: scusate, cambiamo le regole, abbiamo bisogno di più soldi, da domani ci prendiamo 130 euro, più 30 euro di arretrati al mese per le rate dell’ultimo anno. Alla minaccia di rivolgersi alla polizia, la finanziaria del frullatore potrebbe rispondere: ma anche lo Stato Italiano voleva fare così. Molti commentatori considereranno la revoca del balzello radioattivo via tweetter un fatto positivo: mentre io invece considero il tweet che cancella il decreto come un segnale inquietante. 

Cosa ha salvato lo scatto dei 150 euro? La dichiarazione sarcastica ma tempestiva di Matteo Renzi? Il fatto che Corriere della Sera e Il Giornale gli abbiano dedicato la prima pagina? Il corsivo di Massimo Gramellini? Gli insulti sui social network? Cosa è cambiato rispetto a settembre quando quel decreto è stato votato, dal 9 novembre quando è entrato in vigore, e oggi? Per fortuna esiste l’opinione pubblica. Purtroppo esiste una classe dirigente che espone ambizioni enormi, e poi con il suo atteggiamento, autorizza gli italiani a pensare che un decreto legge conti meno di un cinguettio.

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