La legge Fini Giovanardi rischia di diventare illegale. A otto anni dalla sua approvazione, il provvedimento che ha profondamente modificato il testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope potrebbe finire in un cassetto. Il 12 febbraio la Consulta si pronuncerà sulla presunta incostituzionalità della norma. «Incostituzionalità evidente», a sentire Stefano Anastasia, il presidente della Società della Ragione che pochi giorni fa ha presentato a Montecitorio un appello sottoscritto da oltre 140 tra docenti universitari di discipline giuridiche, garanti, avvocati, magistrati e operatori del settore. Un documento già consegnato a tutti i giudici della Corte Costituzionale.
Al centro del caso resta la discussa Fini-Giovanardi. La legge sulle droghe «che assimila – si legge nella petizione – inasprendolo, il trattamento sanzionatorio per l’uso di sostanze stupefacenti, “leggere” o “pesanti” che siano». In attesa della decisione della Consulta, lo scorso fine settimana hanno sfilato a Roma oltre 30mila persone. Un corteo antiproibizionista, la Marijuana March, che ha raccolto decine di sigle, tra cui Antigone, Libera e il Forum Droghe. Intanto si ragiona sui profili di incostituzionalità della norma. La petizione della Società della Ragione ripercorre la genesi del provvedimento. «Un’inedita disciplina in materia di stupefacenti», composta da «23 nuovi articoli, punitivi e proibizionisti», inseriti con un maxiemendamento all’interno di una legge di conversione di un decreto destinato principalmente a fronteggiare spese ed esigenze di sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino.
Siamo alla fine del 2005. Gli ultimi mesi del governo Berlusconi III. «E quella legge – ricorda l’avvocato Luigi Saraceni, altro promotore dell’appello – fu approvata in meno di venti giorni, con una compressione inammissibile della discussione parlamentare». A sollevare le critiche di tanti è anche il contesto di fine legislatura. La legge viene licenziata a breve distanza dallo scioglimento delle Camere e a ridosso dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici. Rendendo impossibile ogni ipotesi di rinvio presidenziale. Mettendo «il Capo dello Stato con le spalle al muro».
Per i firmatari della petizione è stato palesemente violato l’articolo 77 della Costituzione che regola i decreti legge. Il dossier cita la Corte di Cassazione. Nello specifico, il procedimento di conversione è stato «utilizzato come escamotage per far approvare un’iniziativa legislativa del tutto nuova, di fatto inemendabile, eludendo le regole ordinarie del procedimento legislativo». La presunta incostituzionalità della Fini-Giovanardi – se sarà riconosciuta – non ha quasi mai a che vedere con il contenuto del provvedimento. Come spiega l’avvocato Saraceni, «la Corte non è chiamata a entrare nel merito delle politiche sulla droga, si tratta di una questione che attiene lo stato di diritto».
Si parla di forma, insomma. Eppure «la forma è sostanza» raccontano i proponenti. «Non sempre tutto è possibile, a tutto esiste un limite. Anche ai poteri del governo mediante decretazione d’urgenza e del Parlamento in sede di conversione in legge, come la Corte costituzionale ha stabilito nella sua più recente giurisprudenza». Anastasia ricorda il recente decreto Salva Roma. Presentato dal governo Letta, approvato da una Camera, poi ritirato dall’esecutivo. «La materia è esattamente la stessa». Viene evocato il monito del presidente Giorgio Napolitano sul rispetto delle “regole procedurali”. Soprattutto per quanto riguarda i presupposti di necessità e urgenza e l’omogeneità tra le norme dei decreti e delle relative leggi di conversione.
Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti per la Regione Toscana, solleva un altro aspetto. Presente anche lui all’incontro di Montecitorio, il terzo promotore dell’appello punta il dito sulle conseguenze della Fini-Giovanardi. Una legge che ha finito per «riempire le carceri». Si legge sul dossier: «Un detenuto si tre entra in carcere ogni anno per violazione dell’attuale normativa antidroga. La previsione di sanzioni severe (da 6 a 20 anni di carcere) per detenzione illecita di qualsiasi sostanza stupefacente comporta l’incriminazione di molti consumatori, anche per il semplice possesso di una quantità minimamente eccedente la soglia fissata da apposito decreto ministeriale». Nessun dubbio sulle conseguenze di una eventuale sentenza di accoglimento. Se la Consulta dichiarerà incostituzionale la Fini-Giovanardi non ci sarà alcun vuoto normativo. Piuttosto tornerà in vigore la precedente disciplina. «Un quadro punitivo – si legge ancora – meno repressivo di quello attuale, e politicamente più allineato con il significato di fondo del referendum popolare del 1993, favorevole a una depenalizzazione della detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale».