Il periodo che precede il lancio di una nuova console ricorda molto quello che precede la formazione di un nuovo governo: indiscrezioni, drammi temporanei, sparate assurde, voci di corridoio e verità disciolte in un misto di fonti di dubbia provenienza.
Il lancio di Playstation 4 e Xbox One non ha ovviamente deviato di un grado da questo copione, e la voce più insistente (e in parte vera) era che la console di casa Microsoft avrebbe richiesto un collegamento continuo ad internet per funzionare. La soluzione era decisamente poco gradita alla maggior parte dell’utenza, ma non dispiaceva ad Adam Orth, protagonista della storia di oggi.
Aprile dell’anno scorso, Orth è direttore creativo presso Microsoft Studios, quindi non l’ultimo degli scemi. L’Xbox One non è stata neppure annunciata (lo sarà solo un paio di mesi dopo) e non si conoscono del tutto le sue caratteristiche, siamo dunque in quel clima di incertezze isteriche descritto poco sopra.
In questo clima Orth decide di twittare questo.
«Scusate, non capisco il problema di avere una console sempre connessa. Ogni dispositivo, ora, è sempre connesso. Questo è il mondo in cui viviamo #dealwithit».
Deal with it: fatevene una ragione.
Il risultato, indipendentemente dal fatto che Orth abbia ragione o meno, è quella che gli americani chiamano “shitstorm”, una vera e propria tempesta di merda, che lo colpisce in piena faccia per le settimane a seguire. Da persona semisconosciuta in rete, Orth diventa il simbolo dell’oppressione e del corporativismo, diventa il volto di quei cattivoni di Microsoft che vogliono obbligare i giocatori a stare sempre connessi.
Twitter, Facebook, forum e siti specializzati, video di Youtube, ovunque giri lo sguardo, Orth legge solo insulti, minacce, giudizi sprezzanti e persone che scavano nel suo passato alla ricerca del marcio.
Uno schema visto e rivisto, che lo spezza con la forza di un’umiliazione pubblica degna di un tribunale popolare della cina di Mao, un tribunale da cui non sa e non può difendersi.
Una settimana dopo, Orth, è fuori da Microsoft, non si sa bene se gentilmente allontanato o per sua spontanea volontà. Di sicuro da quel momento in poi, Orth attraversa un suo personale calvario fatti di notti insonni, senso di colpa, vergogna e paura per il futuro suo e della sua famiglia.
Fortunatamente, amici, parenti e molti colleghi si stringono attorno a lui con parole di conforto e consigli, consigli che, dopo aver a lungo riflettuto, Orth decide di seguire.
Da un giorno all’altro lo sviluppatore stacca letteralmente la spina al passato. Resetta la propria vita, allontanandosi dalla rete per un po’, e facendo ciò che tutti fanno in questi casi: più movimento, perdere peso, viaggiare, più tempo con amici e famiglia (e beato lui che se l’è potuto permettere…), una nuova casa a Los Angeles e un nuovo lavoro con uno studio di sviluppo indipendente da lui fondato, Three Zero One.
Inutile dire che il suo primo gioco dopo la tempesta è un’allegoria di quanto gli è successo.
Il suo nome è >Adr1ft, e per certi versi ricorda le atmosfere di Gravity (anche se Orth sostiene di aver avuto l’idea prima dell’uscita del film di Cuaròn). Il protagonista è un astronauta che, dopo un incidente nella stazione spaziale in cui lavora, deve cavarsela nello spazio profondo, esplorando l’ambiente e risolvendo enigmi.
Tuttavia, a differenza a Gravity, le atmosfere di >Adr1ft sono calme, rilassante, proprio come è Orth adesso, con un’esperienza più improntata all’esplorazione e alla meraviglia, che alla sopravvivenza dura e pura. Per rendere il tutto ancora più spettacolare, il gioco sarà compatibile con i visori per la realtà virtuale come Oculus Rift, e possiamo solo immaginare quanto possa essere bello galleggiare a gravità zero con lo spazio profondo a pochi centimetri dal nostro naso.
Come molti libri, film o canzoni, questo gioco non è altro che un modo per raccontare la propria esperienza, portandola fuori ed esorcizzandola (sperando che piaccia a qualcuno che ne finanzi la realizzazione).
Perché quale metafora migliore con la storia di Orth, che è la storia di molte persone che si ritrovano oltre il bordo di una crisi, se non quello di un uomo che cerca di farcela dopo un disastro, e che può contare solo sul duro lavoro e sulla sua capacità di esplorare l’ambiente intorno a sé per riuscirci?