Fate parte del ceto medio? Dieci anni fa questa domanda era uno dei maggiori interessi dei sociologi – e delle persone snob. Ora è una questione politica molto delicata.
Il mese scorso il Pew Research Center ha pubblicato un sondaggio da cui emerge che la proporzione di americani che si considera parte della borghesia è in forte calo, e i salari mediani stagnano. Nel 2008, erano il 53 per cento, ora questo numero è sceso al 44. […] Il problema principale è che due terzi degli americani pensano (correttamente) che il divario fra ricchi e poveri stia aumentando e che loro stiano affondando. Il 40% delle persone ora si auto-colloca nei ceti più bassi, in passato erano il 25%.
Questi numeri sono impressionanti, e aiutano a capire perché la definizione “ceto medio” crea così tanta tensione a livello politico.[…] Per questo, è utile guardare alla questione da una prospettiva più ampia. Il mese scorso ho partecipato a un dibattito del World Economic Forum di Davos sul ceto medio a livello globale in cui sono intervenuti sia economisti occidentali (come Laura Tyson, parte dell’amministrazione Clinton e professoressa all’università di Berkeley) e personaggi di spicco nei paesi emergenti (come Marcelo Côrtes Neri, ministro degli affari strategici in Brasile, Ernesto Zedillo, già presidente del Messico, e Rob Davies, ministro sudafricano per il commercio). Due elementi chiave, spesso ignorati nel dibattito politico americano, sono emersi dalla discussione. Innanzitutto, da un punto di vista globale, il ceto medio è in espansione, non in contrazione, e sostiene la crescita economica complessiva. Secondo, il modo in cui si definisce il ceto medio è una questione piuttosto scivolosa.
Un report del 2013 pubblicato da Ernst & Young intitolato “Hitting the Sweet Spot” bene illustra questi elementi. Lo studio analizza i trend di crescita e conclude che nel corso dei prossimi due decenni, il “ceto medio”, a livello globale, crescerà per due terzi nei mercati emergenti quali Cina, India e Brasile, e non in occidente, e di certo non nei mitologici sobborghi americani. […]
Ma attenzione, gli allegri consulenti dell’EY definiscono “ceto medio” ogni famiglia con un reddito fra i 10 e i 100 dollari al giorno, visto che «attorno a questo livello i consumatori iniziano ad avere un reddito disponibile che gli consentirà di acquistare automobili, frigoriferi e altri beni. Le persone che rientrano in questa fascia di reddito possono essere considerate il ‘ceto medio globale’ – una classe media standard per tutti i paesi». Ma io dubito che molti americani con un reddito di 70 dollari a settimana si considerino classe media. Persino quelli con un reddito di 700 dollari a settimana potrebbero esitare nel definirsi tali, vista la stagnazione dei salari mediani.
Quindi, questo significa che gli americani sbagliano a lamentarsi del declino del ceto medio? Ha torto la Ernest and Young a dichiarare che molte famiglie cinesi rientrano nella definizione di ceto medio? O forse il tratto distintivo è più che altro la direzione – e non il livello assoluto – del proprio reddito, e la propria percezione di ricchezza relativa? In altre parole, si può affermare che sentirsi borghesi è una condizione mentale (diciamo una sensazione di ottimismo, stabilità, coesione sociale) e non un qualcosa che ha a che fare con i beni di consumo? […]