TORQUAY, DEVON -Molti anziani soli. Molte coppie, a loro volta vicine all’età della pensione se non oltre. Nell’auditorium del Riviera Centre di Torquay, nel Devon, i delegati e i sostenitori che si sono ritrovati questo fine settimana per la conferenza di primavera che ha aperto la campagna elettorale dell’Ukip – il partito indipendentista britannico, cresciuto negli ultimi vent’anni in quell’area conservatrice che è rimasta delusa dai Tories – non apparivano certo giovani né sembravano esprimere, in sé, una carica rivoluzionaria.
Eppure, l’Ukip di Nigel Farage è il partito che prioritariamente chiede l’uscita di Londra dall’Unione Europea, vuole mettere un tetto all’immigrazione, dare prima lavoro agli inglesi o ai gallesi o agli scozzesi, vivere alla maniera british, con la propria lingua, la propria religione, le proprie usanze da coltivare (e insegnare) prima di tutte le altre. La rivoluzione degli attempati delegati di Torquay, se ci sarà, sarà dunque all’insegna delle resistenza verso ciò che appare un’invasione straniera su vari fronti. E l’Ukip questa volta è accreditato dai sondaggi di un potenziale 25% dei consensi alle elezioni europee di maggio, quindi con un bacino elettorale più complesso di quello che appare.
È presto per dire se questo fenomeno politico finora numericamente marginale e politicamente ritenuto impresentabile arriverà a sconvolgere per davvero il sistema istituzionale inglese fondato su due partiti, quello Conservatore e quello Laburista, che nel 2015 torneranno a contendersi la guida del governo. Di certo alle europee si vota con il proporzionale e non con il maggioritario secco delle elezioni generali nazionali, tutto è dunque possibile. Se i sondaggi avranno ragione e le parole di Farage avranno fatto presa sull’elettorato, attraverso il voto europeo l’Ukip potrà rappresentare una novità rilevante, non solo oltremanica (dove il vero colpo sarebbe il sorpasso sui conservatori del premier Cameron, che ha già dovuto promettere un referendum sull’eventuale uscita dall’Ue per il 2017, a cui lui per primo non crede davvero).
Il caso dell’Ukip offre diversi spunti di riflessione sull’evoluzione politica europea, e anche sulle idee e le emozioni che agitano gli elettori sconvolti da anni di crisi e dagli effetti della globalizzazione. Anche se poi alle urne i sondaggi dovessero essere ridimensionati, sul futuro dell’Europa si sta formando un’opinione pubblica continentale che però continua a dividersi (per nazione) su chi debbano essere i beneficiari di nuovi diritti.
L’immigrazione di massa ha “reso irriconoscibile” la Gran Bretagna: il passaggio più studiato del discorso di Farage alla conferenza del partito dello scorso fine settimana è stato questo. Il leader dell’Ukip ha raccontato di essere sconvolto dal sentire sempre più persone (il suo aneddoto era ambientato su un treno pendolari) che non parlano inglese o parlano un inglese pasticciato. Tornare ai valori tradizionali della società inglese è dunque la ricetta culturale che accompagna la richiesta di un tetto all’immigrazione anche dei lavoratori comunitari, almeno fino a che ci sarà disoccupazione.
La richiesta di uscire dall’Ue, che affonda in un euroscetticismo che a Londra ha radici lontane, serve anche per avere gli strumenti necessari a governare in maniera così restrittiva l’immigrazione. Farage vuole un referendum perché il popolo decida di ripendere sovranità in modo che sia il governo britannico a decidere «come dobbiamo vivere», soprattutto per poter fare affari con il resto del mondo senza compromessi: «È inaccettabile che un’istituzione esterna ogni anno decida il 75% della nostra legislazione». Non solo: i soldi che si risparmierebbero se non si dovesse più contribuire al bilancio Ue «siano usati per aiutare le persone nel nostro paese». Slogan della campagna: «Ama la Gran Bretagna, vota Ukip».
Tutto questo movimentismo non sarebbe probabilmente possibile senza infine una dose di quella che in Italia si chiama anti-politica e che oltremanica ha come bersaglio le élite di governo uscite dai college più prestigiosi. «Ho lavorato per 20 anni, non avevo mai pensato di entrare in politica», è il refrain di Nigel Farage, che ha 49 anni e un passato di broker nella City londinese. «David Cameron e Ed Miliband (i leader dei partiti di maggioranza e di opposizione) non hanno mai lavorato un giorno in vita loro», scandisce camminando avanti e indietro sul palco senza mai fermarsi dietro al leggio. Quindi, il bersaglio è l’Europa, ma l’obiettivo finale è di farsi largo sullo scenario politico nazionale battendo i partiti tradizionali.
Stop all’immigrazione, opposizione all’Unione Europea, patriottismo, populismo. Applicando queste posizioni e questi slogan ad altri partiti italiani, francesi o olandesi soprattutto di destra a cui in questo momento arride un cospicuo consenso, si scorge un’orizzone comune di una buona fetta di elettorato.