Lo Speciale sulla crisi ucraina, la necessità per l’Europa di ridurre la dipendenza da Mosca
La crisi ucraina ha sollevato in Europa il tema della sostenibilità energetica e della necessità di rendersi maggiormente indipendente dall’importazione di gas russo.
Come ha ribadito il presidente americano Barack Obama durante la sua visita a Bruxelles il 26 marzo, se il Cremlino dovesse tornare a minacciare la sovranità territoriale ucraina con nuove invasioni dopo l’annessione della Crimea, Usa e Ue sono pronte a introdurre nuove sanzioni (la cosiddetta “fase tre”) che coinvolgeranno anche il potente settore energetico russo.
Ma tali misure avrebbero inevitabili ripercussioni sulla stessa Europa, fortemente dipendente dalle risorse russe.
Nel 2013, infatti, l’Ue ha importato dalla Russia 130 miliardi di metri cubi, coprendo il 27% del totale delle importazione di gas. Un panorama più preoccupante se si considerano le percentuali di importazione di gas per singole nazioni.
Come ha scritto Giovanni del Re su questo giornale, «la quota di importazioni di gas dalla Russia corrisponde al 100% del totale per Finlandia e Repubbliche baltiche, tra l’80 e l’89% per Slovacchia, Ungheria e Bulgaria. Seguono Austria e Slovacchia con il 60%, Polonia (59%), Grecia (56%), Germania (37%), Italia (29%) e Francia (16%). «Indenni» sono solo Svezia, Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Spagna, Belgio, Portogallo che non importano alcunché dalla Russia. Traduciamo: l’Europa è spaccata, ma certamente c’è un folto drappello di Paesi che si chiede come poter sostituire – se la situazione peggiora drasticamente – il gas russo».
Quali possibilità ha allora l’Ue di liberarsi dalla dipendenza energetica russa? Quali fonti alternative potrebbe usare e potenziare? E a che punto è l’Europa rispetto alla possibilità di estrarre shale gas, o gas di scisto, di cui molte nazioni europee possiedono giacimenti?
Ce lo raccontano i nostri corrispondenti in questi articoli:
ll potenziale di shale gas dell’Europa. Il Grafico del Wall Street Journal