Le donne, eh, le donne. Uno che di queste cose sapeva pochissimo ma capiva moltissimo era senza dubbio Giacomo Leopardi. Non era un adone, ma era intelligentissimo. E poi, grazie al fatto che frequentava i circoli culturali più vivi dell’Italia dell’epoca, aveva avuto modo di viaggiare per le città più importanti d’Italia: Firenze, Roma, Napoli. Il problema era che, ovunque andasse, la musica era sempre la stessa: le donne lo tenevano alla larga. Questo non gli impediva di entrare lo stesso in contatto con loro e studiarne l’atteggiamento e i modi in generale, anche perché, come diceva, girava con “giovani molto belli e ben vestiti”.
E che cosa traeva da queste sue analisi antropologiche? Lo si può leggere in questa pagina, una lettera inviata al fratello, in cui raccontava, con un certo dolore, quanto poco fondata fosse la leggendaria differenza tra donna-di-provincia e donna-di-città. Un mito che è ancora oggi molto diffuso nelle chiacchiere dei bar, sia di provincia che di città.
Giacomo Leopardi, lettera al fratello Carlo del 6 dicembre 1822: «Queste bestie femminine […] sono piene d’ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi non si sa come, non la danno (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi».
(Il passo censurato [“non la danno”] in quasi tutte le edizioni precedente, è riportato nell’Epistolario pubblicato nei “Meridiani”).