No, non è stato Tony Soprano. Quando lo scorso 19 giugno James Gandolfini è morto, non è stato Tony Soprano a mancarmi per primo. Ma il giuggiolone vagamente malizioso di Romance & Cigarettes, diretto da John Turturro e affiancato dallo splendore generoso e ammiccante di Kate Winslet, che se poi ci metti anche Cristopher Walken e Susan Sarandon hai completato il quadro e puoi pure chiudere il cavalletto e andare a casa piuttosto sicuro di avere per le mani un capolavoro. Non è stato Tony Soprano, ma la tosse profonda ed eloquente di un bugiardo patologico coi baffetti da maiale – va detto che al tempo fumavo un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno, quindi lo sentivo anche piuttosto vicino. Non è stato Tony Soprano ma quello che Gandolfini si è sforzato di fare per tutta la vita con la sua più grande interpretazione televisiva: lasciarla dov’era e passare oltre. Allora è importante ricordarsi di quando esce dalla veranda dove ha appena litigato con una moglie feroce e un paio di figlie accanite, per darsi al canto a pieni polmoni – o quel che ne rimaneva. «Everyday I wake up, then I start to break up» appeso ad un lampione. Pesava centoventi chili e sembrava che si muovesse sulle punte, non faceva nessun rumore.
Chi ha avuto il privilegio di vederlo recitare, di vederlo ripetere i takes de I Soprano uno dietro l’altro, con l’attenzione maniacale che metteva ai particolari, sa quanto facilmente poteva infrangersi contro il muro dell’insicurezza. Del Woody Allen se l’era dato da solo, ma – forte del tempo che è passato – mi sento di contraddirlo. Allen a suo modo è sfacciato, menefreghista, acuto nei punti giusti e spesso provocatorio. Gandolfini era più simile a un gigantesco riccio che a un orso. Se è vero che avesse cominciato a recitare per sbaglio non lo so, ma era per sbaglio che si trovava di fronte alla ribalta. In prestito, direbbero alcuni. E a passare attraverso il suo esatto opposto, Tony Soprano, era proprio quella sua presenza inadatta alla vita sociale, ai riflettori, alla notorietà. E così filava tra i metri di pellicola che ha occupato – che sono tanti, non c’è che dire – senza che qualcuno trovasse mai qualcosa che non andava nel bestione a lato scena, negli occhi dolci della macchietta italoamericana che, per lo meno ai primi tempi, si ritrovava sempre a interpretare. In questo senso mi ha sempre ricordato Paul Sorvino, vai a capire com’è strana la suggestione.
Poi c’erano gli eccessi d’ira, che si dice fossero una versione strascicata e disperata di una tendenza reale ma poco credibile, l’analisi, che nessuno ha mai confermato essere qualcosa in cui Gandolfini credeva veramente, la velocità in cui era in grado di passare dall’eccesso della disgrazia a quello della grandezza. Lasciare indietro Tony Soprano non è una cosa che si fa a cuor leggero, ma i pochi passi che Gandolfini ha mosso nel cinema li ha mossi nella direzione giusta. Scovando ruoli che gli si tagliassero addosso ma lasciassero scivolare via le camicione aperte e le giacche di pelle. Che facessero gradualmente dimenticare – proprio come ci si disintossica dal tabagismo – le atmosfere cupe e il blaterio schioppettante dell’inglese terronico à la Scorsese. Era uno sforzo dovuto, per diventare qualcosa d’altro rispetto a quello che aveva fatto la sua fortuna, perché aveva tutte le carte in regola per piazzarsi saldamente in un posto che idealmente sta tra Paul Giamatti e Philip Seymour Hoffman. Con le cautele del caso, ma chi ha visto Molto forte, incredibilmente vicino, può facilmente darmi ragione.
Una cosa la portava addosso in maniera abbastanza evidente: il New Jersey. I suoi erano i modi della provincia vicina, delle strade riempite di insegne che non portano a niente. Chi è cresciuto in Nord Italia, nella provincia industrializzata lombarda, qualcosa di comprensibile da questa analogia può trarlo. Gandolfini aveva la pazienza che non è concessa a chi ha il ritmo della città, ma contemporaneamente la frenesia di chi è costretto ad affrontare il traffico indolente delle cittadine insulse e trascurabili che fanno da corollario ai grandi centri. Ecco, lui era un’ingenuità controllata, conosciuta, misurata prima di entrare in scena e che sapeva perfettamente quando la sua capacità di fingere lo avrebbe abbandonato. Faceva se stesso. E in questo non c’è niente di male, davvero.
«Sono un ciccione idiota del New Jersey, tutto qui» ha dichiarato in una delle interviste che faceva di tutto per evitare. Una conclamata stronzata, come tante la sua timidezza gliene faceva esternare. È morto che aveva cinquantun anni, a Roma e ha lasciato dietro di sé due film completi e ancora non distribuiti nelle sale italiane.
Enaugh Said (Non dico altro nella sua traduzione italiana, uscita prevista per il prossimo 10 aprile) è una commedia romantica, che negli Stati Uniti ha debuttato a settembre ed è stata premiata a Boston, Chicago, Londra e Phoenix oltre che qui e là su tutto il panorama largo e annacquato del cinema indipendente. Senza contare la nomination ai Golden Globe per Julia Louis-Dreyfus, una mia vecchia passione. Enough Said può essere visto come il passaggio più tenue e delicato di quella che avrebbe dovuto essere la mutazione di Gandolfini. Se fosse sopravvissuto a se stesso e la metamorfosi si fosse compiuta, questo film sarebbe stato un preludio a un’esplosione. Il fischio che anticipa lo schianto di una bomba, o meglio il brusio che prelude a una scossa di terremoto che potrebbe o meno aprire una voragine sulle profondità della terra. Ma dobbiamo accontentarci nostro malgrado di quello che è: un’ottima situazione teorica, vanificata dall’ovvietà labile dell’esistenza.
Il secondo film, in uscita il prossimo settembre nelle sale americane, si sarebbe dovuto chiamare Animal Rescue, ma poi è diventato The Drop. È stato l’ultimo film di Gandolfini, finito di girare solo un paio di mesi prima della sua morte e non è dato di sapere molto altro. In questi giorni sono comparse le prime foto dal set, che trovate sparse per questo articolo, come ultima testimonianza. Come sbirciare in un vecchio album di ritratti sbiaditi, appartenenti a un’altra epoca che, a dire la verità, prima che tornassero a galla facevo fatica a ricordare. Ma che, arrivati alla fine e senza alcuna possibilità di tornare indietro, riaccendono una speranza. Irrealistica, vana, idiota, ma sempre una speranza.
Aggiornamento: è uscito il trailer di The Drop, lo trovate qui sotto.