Possono essere utili alle imprese dei professionisti che sono quasi all’asciutto di innovazione tecnologica? È una delle domande che si è posto l’ultimo Osservatorio Ict & Professionisti e che in effetti viene da chiedersi a leggerne i risultati. Gli studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro non sono, o non sono più, ostili alla tecnologia in sé. Ma hanno un problema di alfabetizzazione informatica: pensano di spendere per comprare Pc più potenti ma sono poco interessati a software di gestione più raffinati. Provano a digitalizzare i documenti ma nella gran parte dei casi archiviano le email in forma cartacea. Non conoscono, in genere, strumenti più propri delle aziende, come i sistemi di Crm (customer relationship management), portali e siti web, firma grafometrica, workflow management, business intelligencem e-learning (a questo proposito, si veda il glossario in fondo). Per dirla con Claudio Rorato, responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Ict&Professionisti della School of management del Politecnico di Milano, «non servono solamente bonus finanziari per investimenti tecnologici, ma è necessario accrescere l’alfabetizzazione digitale della categoria. Perché solo con una nuova visione sistemica si può attivare il circolo virtuoso dell’innovazione che lega professionisti e imprese».
Stato dell’arte e budget di spesa
Le tecnologie più diffuse negli studi professionali sono sintetizzate da questo grafico:
I budget dedicati all’Ict nel prossimo biennio, sebbene ci sia interesse verso soluzioni in particolare sui fronti del cloud, della firma grafometrica e delle App, restano limitati. L’83% degli studi professionali dichiara la disponibilità a investire in tecnologia nei prossimi due anni, ma il 27% di questi dedicherà un budget compreso tra mille e 3 mila euro, il 21% al massimo mille euro e solo il 16% tra 3 mila e 5 mila euro. Chi spende di meno sono gli avvocati, mentre all’estremo opposto ci sono i consulenti del lavoro e gli studi multidisciplinari.
«La natura di questi investimenti sottolinea come ci sia ancora una difficoltà a percepire concretamente la capacità di generare valore da parte delle Ict – commenta Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio Ict&Professionisti – si privilegia la performance dello strumento, come i pc più potenti, e non quella di processo. Non emerge la volontà concreta di riorientare il business, prevalentemente ancora di natura tradizionale, verso nuove forme di servizio in grado di diversificare i rischi, proteggere la marginalità, sviluppare nuove opportunità. L’alfabetizzazione digitale, che impegni le istituzioni politiche e professionali, diventa allora cruciale per la diffusione di una cultura tecnologica presso i professionisti, per far percepire chiaramente perché una tecnologia può generare valore e, soprattutto, dove lo può creare».
A riconoscere una necessità di alfabetizzazione informatica dei titolari sono gli stessi studi intervistati. È questa infatti la principale causa della scarsa diffusione delle tecnologie, evidenziata nelle risposte.
Non è però un quadro, come già anticipato, in cui i professionisti sono semplicemente sulla difensiva. La stragrande maggioranza degli studi ha un sentiment positivo verso la tecnologia, anche se emerge una difficoltà nel dare un valore quantitativo ai benefici, percepiti soprattutto in termini generali.
Uno dei benefici più evidenti dell’innovazione tecnologica degli studi, secondo l’Osservatorio, sarebbe la riduzione del tempo – e dello spazio – dedicati agli archivi cartacei. Le prassi di “dematerializzazione” dei documenti e gli strumenti che possono aiutare a rendere più efficienti alcune attività non sono ancora diffusi. Basti pensare che, per quanto riguarda le e-mail di interesse, l’87% degli avvocati, il 69% dei commercialisti e il 56% dei consulenti del lavoro le stampa e le archivia all’interno delle pratiche di competenza.
Una metà buona degli studi, in tutti i casi, è abituata a scansionare i documenti cartacei creando archivi elettronici. Tra le varie categorie di professionisti, i consulenti del lavoro sono i più avanzati, mentre più indietro si posizionano gli avvocati.
I professionisti si stanno avvicinando con cautela allo svolgimento di attività di lavoro con strumenti mobili e al mondo delle App. Ma il potenziale appare alto, poiché ben il 42% del totale dei professionisti trascorre almeno il 50% del tempo lavorativo fuori dallo studio (i commercialisti nel 38% dei casi, gli avvocati nel 46% e i consulenti del lavoro nel 33%).
Già solo vedere la lista delle App più utilizzate dà un’idea di quelli che potrebbero essere le evoluzioni possibili:
Mentre i professionisti che scelgono i social network per ricercare clienti o comunicare con altri professionisti sono ancora pochi. Una scelta che può apparire miope, se si considera la popolarità acquisita da chi su questi mezzi di comunicazione ha puntato.
Il glossario: