All’indomani della deposizione del Presidente Yanucovich e dell’apparente trionfo delle forze di opposizione che hanno guidato il movimento Euromaidan e le proteste di Kiev, l’Ucraina si trova ad affrontare la peggior crisi politica della sua storia recente. Infatti, l’affermazione delle forze filo-europeiste e la formazione di un governo di unità nazionale con marcata impronta nazionalista hanno suscitato la viva reazione della comunità russofona e filo-russa del Paese, risvegliando violentemente il latente sentimento secessionista delle regioni meridionali e orientali. Quest’ultimo è stato ulteriormente aizzato dal governo russo, preoccupato dai segnali di una possibile svolta occidentale di Kiev e desideroso di tutelare i propri interessi in quello che considera il proprio “giardino di casa”.
Gli avvenimenti che, dal 20 febbraio, hanno destabilizzato il sud e l’est dell’Ucraina lasciano intuire che, ad oggi, il rischio secessionista appare molto concreto, soprattutto perché sostenuto simultaneamente dalla maggioranza della popolazione locale e dal Cremlino, che non ha esitato ad offrire appoggio politico e militare alle forze indipendentiste russofone ucraine.
Gli episodi più significativi hanno coinvolto la Crimea, regione a schiacciante maggioranza russofona (98%) e profondamente legata alla Russia per storia, identità e interessi economico-strategici. Infatti, poche ore dopo il discorso di Yulia Timoshenko in Piazza Indipendenza a Kiev e l’insediamento del nuovo esecutivo, la popolazione crimeana ha organizzato una manifestazione anti-governativa, denunciando gli avvenimenti di Euromaidan come golpisti e inneggiando al ricongiungimento con la Russia. A guidare le proteste è stato Alexei Chaly, imprenditore locale eletto dalla folla come nuovo Sindaco di Sebastopoli. A innalzare drammaticamente la tensione ha contribuito l’imprudente decisione, da parte della Rada (Parlamento ucraino), di approvare la legge di abrogazione del bilinguismo, eliminando il russo come lingua ufficiale del Paese, e di rendere pubblica l’intenzione di rivedere lo status amministrativo del Paese, riducendo l’autonomia di alcune regioni, compresa la Crimea.
Fonte: Internazionale
La crisi in Crimea appare intimamente legata agli ultimi sviluppi politici ucraini.
Infatti, all’indomani della destituzione di Yanucovich, il variegato mosaico delle forze di Euromaidan ha annunciato la nomina di un nuovo Presidente ad interim, Oleksandr Turcinov, e di un nuovo Premier, Arsenij Yatsenyuk, entrambi uomini di Unione Pan-UcrainaPatria (UUP), il maggior partito di opposizione a Yanucovich, al quale appartiene anche Yulia Timoshenko.
Appare doveroso sottolineare come entrambi gli uomini politici, pur essendo dell’UUP, non sono fedelissimi della Timoshenko, bensì appartengono all’ala più conservatrice e nazionalista del movimento.
Il nuovo esecutivo ucraino rappresenta la cartina di tornasole dei rapporti di forza emersi dagli scontri di Kiev e, infatti, accoglie al proprio interno attivisti dei diritti umani, intellettuali indipendenti e membri dei partiti tradizionali. Si tratta di un Gabinetto fortemente filo-europeo, ucrainofono ed espressione degli interessi delle regioni occidentali del Paese, il che lascia intendere che, oltre alla stabilizzazione interna, l’obbiettivo principale dei prossimi mesi potrebbe essere la prosecuzione dell’iter per la firma dell’accordo di Associazione con l’Unione Europea. Un dato significativo è offerto dagli incarichi assegnati al partito nazionalista Svoboda (Libertà), una delle compagini più influenti e protagoniste durante Euromaidan, che ha visto propri esponenti nominati Vice-Premier (Oleksandr Sych) e Ministro della Difesa (L’ammiraglio Ihor Tenyukh).
L’insieme di queste decisioni e la delineazione di questo equilibrio politico sono state percepite dalla popolazione russofona come il primo passo verso un’ipotetica persecuzione ai propri danni da parte della popolazione ucrainofona e delle forze politiche uscite vittoriose dalla crisi di Euromaidan. La paura della comunità russa e russofona trova ulteriore fondamento dalla preoccupante ascesa dei gruppi ultra-nazionalisti ucraini, una forza sociale e politica extra-parlamentare e priva del controllo dei moderati partiti tradizionali rappresentati nella Rada.
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La crisi in Crimea ha evidenziato come lo scenario della divisione dell’Ucraina in due realtà statali distinte, una filo-europea e una filo russa, diventi una possibilità sempre più concreta. Inoltre, pur rappresentando un genuino fenomeno interno, gli eventi ucraini hanno visto il forte coinvolgimento di attori internazionali, decisi a sostenere l’una o l’altra fazione. Infatti, il Partito
delle Regioni, voce degli interessi industriali delle aree orientali e degli oligarchi del Paese è stato tradizionalmente sostenuto dalla Russia, desiderosa di continuare a mantenere l’Ucraina in quella che ritiene essere la propria sfera d’influenza. Di contro, l’UUP e le formazioni europeiste hanno usufruito, sin dai primi anni 2000, dell’appoggio del governo tedesco e di quello statunitense, pur con obbiettivi differenti. Infatti, mentre Berlino ha costantemente cercato di favorire l’avvicinamento di Kiev all’UE per facilitare la penetrazione commerciale della propria industria e finanza, Washington non ha mai nascosto l’intenzione di privare il Cremlino di un alleato dal grande valore simbolico, politico e strategico.
Infatti, nel contesto delle repubbliche ex-sovietiche, l’Ucraina ha un peso specifico molto alto per la Russia. Dal punto di vista simbolico, la maggior parte dei russi non concepisce la separazione tra Russia e Ucraina, ma considera i due Paesi un unicum storico indivisibile. Inoltre, per il Cremlino, Kiev rappresenta un partner irrinunciabile sia per ragioni militari, legate alla presenza della base di Odessa, sede della Flotta del Mar Nero e principale avamposto russo fuori dal territorio nazionale, sia per ragioni industriali, dovute al fatto che l’est dell’Ucraina e la Crimea ospitano complessi industriali vitali per il comparto della Difesa russo (aereonautica, componenti per missili e cantieristica navale).
In questo senso, la decisione di sostenere e difendere il fuggitivo ex-presidente Yanucovich, permette di comprendere come Mosca sia orientata verso una linea legittimista che giudica gli eventi di Kiev alla stregua di un golpe “morbido”.
Tuttavia, al di là delle difficoltà politiche e di immagine che potrebbero derivare dall’ospitare e difendere un personaggio inserito nella lista dei ricercati internazionali per crimini contro l’umanità, la decisone russa evidenzia come, in questo momento, Mosca non abbia un proprio uomo pronto a guidare le istanze della parte filo-russa dell’Ucraina. Qualora, nelle prossime settimane, emerga un nuovo leader del secessionismo orientale ucraino, a quel punto Yanucovich diventerebbe “sacrificabile” e permettere a Mosca ulteriori opzioni nella gestione del dossier della Crimea e delle regioni orientali ucraine.
La contrapposizione tra Russia e Stati Uniti-Germania potrebbe tradursi in una radicalizzazione dello scontro tra le regioni occidentali ucraine, i cui interessi economici e i cui valori politici sono naturalmente orientati verso l’Europa, e le regioni orientali, desiderose di integrarsi con la Russia.
L’eventuale divisione del Paese potrebbe avvenire sia in maniera pacifica, attraverso il negoziato tra la parti in conflitto, sia in maniera traumatica, nel caso in cui le componenti russofone e ucrainofone non riuscissero a dirimere le controversie in sede istituzionale.
Questa fattispecie potrebbe, molto probabilmente, condurre ad una escalation militare ed indurre i “falchi” di Mosca ad intervenire con le proprie Forze Armate. Appare evidente come sia urgente la creazione di un canale diplomatico preferenziale tra Unione Europea, Russia e rappresentanti del governo ucraino e dei movimenti separatisti per scongiurare il precipitare della crisi.
A livello internazionale, la crisi ucraina rischia di incrinare i rapporti Russia ed Europa, in particolare con la Germania, maggiore sostenitore delle rivolte antigovernative a Kiev. Oltre ad un poco auspicabile raffreddamento delle relazioni diplomatiche, uno dei rischi principali è legato all’interruzione delle forniture di gas che, oltre a mettere in ginocchio l’Ucraina, potrebbero avere effetti sugli altri Paesi europei che hanno nel Cremlino il principale fornitore energetico, inclusa l’Italia (non a caso il pressing di Putin passa anche dai gasdotti). Il peggioramento del dialogo tra Russia e Occidente potrebbe anche influire su altri dossier internazionali che vedono coinvolti Mosca, Bruxelles e Washington, quali la Siria e l’Iran. Infatti, l’irrigidimento russo dovuto ai fatti ucraini potrebbe determinare l’adozione di un approccio più duro da parte di Putin nei negoziati sulla Guerra Civile siriana e sul nucleare iraniano.