Sarebbe stato difficile immaginare una ricorrenza più amara. A vent’anni dalla celebre discesa in campo e dalla vittoria elettorale contro la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, l’ormai ex Cavaliere è costretto ad affrontare uno dei momenti più bui della sua intera vicenda politica. Forse l’ultimo. Giovedì 10 aprile il Tribunale di Milano indicherà la pena con cui Silvio Berlusconi dovrà affrontare la condanna del processo Mediaset. Non dovrebbero esserci sorprese. Con ogni probabilità l’ex presidente del Consiglio sarà affidato ai servizi sociali, abbastanza per poter continuare a esercitare il ruolo di leader politico senza troppe limitazioni. La simbologia dell’evento è però drammatica. La decisione dei giudici sarà la conseguenza pratica della prima condanna definitiva per il padre nobile di Forza Italia. La certificazione – qualora l’allontanamento dal Senato non fosse stato sufficientemente chiaro – del suo dramma giudiziario.
Berlusconi si avvicina al 10 aprile in difficoltà, umana e politica. A fotografare la crisi è stato proprio il suo consigliere Giovanni Toti, l’ultimo arrivato ad Arcore. La conversazione con Mariastella Gelimini rubata e pubblicata pochi giorni fa da RepubblicaTv è impietosa: «Silvio Berlusconi – ha rivelato Toti – fa fatica a stare in piedi nonostante le stampelle», conseguenza di un recente problema al ginocchio. È «angosciato» dalla decisione del tribunale. Ma soprattutto «Non sa cosa fare con Renzi. Ha capito che questo abbraccio mortale ci sta distruggendo, ma non sa come sganciarsi». Perché il problema è l’imminente campagna elettorale, le prossime elezioni di maggio, quelle europee certo, ma soprattutto quelle amministrative, con Forza Italia in grave difficoltà in tante piccole realtà dello stivale, con una perdita di consensi che si espande a macchia d’olio dalla Lombardia fino alla Sicilia.
Ecco il problema. Le riforme istituzionali su cui era stata trovata un’intesa con il presidente del Consiglio rischiano di ritorcersi contro l’ex Cavaliere. Il premier rottamatore, che sembrava aver dato nuova legittimità a Berlusconi, potrebbe invece sancirne la definitiva scomparsa politica. Del resto il balletto su legge elettorale e superamento del Senato si è dimostrato più difficile del previsto. Forza Italia ormai è spaccata tra chi continua a credere nella bontà dell’accordo e chi vorrebbe rovesciare il tavolo. Nella mente di tutti c’è ancora la recente scissione di Angelino Alfano e del nuovo Centrodestra. Il danno e la beffa. Domenica sera il ministro delle riforme Maria Elena Boschi ha sminuito pubblicamente il peso parlamentare dei berlusconiani, riducendoli alla marginalità. «La riforma del Senato? La approviamo anche senza Forza Italia». A rincarare la dose è stato proprio Matteo Renzi, che ha chiarito a stretto giro: «Non accettiamo ultimatum da nessuno, figuriamoci da Brunetta. Noi facciamo le riforme, le questioni interne a Forza Italia se le risolvono tra loro se ne hanno voglia».
Moratti, Formigoni e Podestà
Un bluff, probabilmente. Del resto i numeri a Palazzo Madama non sono così favorevoli alla maggioranza. Ma è anche l’ennesimo campanello d’allarme per l’ex Cavaliere, che adesso rischia di finire all’angolo. Non più protagonista del cambiamento, ma oppositore del tentativo di riformare il Palazzo. Come se non bastasse, ad Arcore attendono i risultati delle elezioni Europee. Il timore è quello di una Caporetto. Gli ultimi sondaggi segnalano sempre più lontana l’asticella del 20 per cento. La speranza di molti è che un forcing televisivo di Berlusconi durante la campagna elettorale possa far guadagnare i consensi perduti. Di certo la sfida con il Movimento Cinque Stelle è difficile, se non impossibile. E un sorpasso grillino nelle urne finirebbe per relegare Forza Italia al ruolo di terzo polo. Insomma, poco più che comparsa.
Ma la questione è anche più pronfoda. Berlusconi in questi venti anni ha saputo capitalizzare i suoi voti, occupando le aziende pubbliche statali, ma soprattutto quelle locali. Le aziende municipalizzate sono state per anni rappresentazione plastica del berlusconismo, nei consigli di amministrazione e nelle presidenze. Voti su voti conquistati nelle piazze, urlando contro «i comunisti», come a Cinisello Balsamo nel 2010, in quei piccoli centri dove il Cavaliere ha sempre trovato apprezzamenti e consensi. Il potere nelle regioni, nelle province e nei comuni, conquistato a suon di voti, ora rischia di scomparire sotto i colpi di un M5s in grande spolvero e un Partito Democratico che non sembra indietreggiare, neppure nelle regioni del Nord storicamente appaltate al duopolio Lega-Pdl. Sono passati 17 anni da quando Gabriele Albertini vinse le elezioni comunali di Milano. Era il 3 giugno del 1997 quando il Cavaliere presiedette da consigliere più votato nell’aula di palazzo Marino il primo discorso di quello che poi sarà poi soprannominato «l’amministratore di condominio».
Berlusconi e Albertini
Dopo Albertini arrivò l’accordo con Roberto Formigoni, da qualche anno eletto come presidente di Regione Lombardia. Allo stesso tempo in Veneto spiccava Giancarlo Galan, esponente della prima Forza Italia: anche lui rimarrà in carica fino al 2010. Per non parlare del Piemonte dove invece nel 1995 vinse Enzo Ghigo, altro forzista che rimase in carico fino al 2005. Un tempo il nord era un monocolore azzurro, poi, dopo il 2001, insieme con il leader della Lega Nord Umberto Bossi s’iniziarono a porre le basi della asse settentrionale, quel patto d’acciaio che ha controllato l’Italia dalle Alpi allo Stretto di Messina per un decennio. Ora Berlusconi perde posizioni. A livello locale sono già saltati accordi. I sindaci rischiano di scomparire, senza contare che da ormai due anni alle elezioni amministrative Forza Italia e il Popolo della Libertà hanno perso in alcuni centri quasi 10 punti in percentuale. In Lombardia, terra del formigonismo, Nuovo Centrodestra di Alfano cerca di mantenere le posizioni già difficili a livello nazionale per via di sondaggi al lumicino.
E l’arretramento degli azzurri non significa solo perdita di consenso nei piccoli paesi, nei centri abitati dove negli anni ’80 vinceva la Democrazia Cristiana di Giulio Andreotti o il Psi di Bettino Craxi, significa perdere posti nelle aziende municipalizzate, perdere capacità di attrarre e confermare il consenso. Il lento declino del berluscones è incominciato nel 2011 dopo la vittoria di Giuliano Pisapia a Milano, è continuato dopo l’annullamento delle elezioni in regione Piemonte, con la capitolazione del leghista Roberto Cota. Azzurri e leghisti presto non potranno più essere presenti nei consigli di amministrazione delle grandi fondazioni bancarie o nelle società che decidono di appalti a livello locale, vera fucina di consensi e di risorse. A dimostrare lo scollamento sono anche i tentativi di trovare alleanze anomale, all’ulimo minuto.
A Merate per esempio, in Lombardia, comune storicamente a destra, la lista Forza Italia-Lega Nord e Fratelli D’Italia schiererà l’assessore uscente Massimo Panzeri. Si cerca di racimolare voti un po’ ovunque, ma le divisioni sono all’ordine del giorno. Ci si allea pure con Pierferdinando Casini, con l’Udc che a livello europeo sarà insieme con Nuovo Centrodestra. Come a Modena dove oer riuscire a compattare Forza italia con Fratelli d’Italia, Udc e forse chissà lo stesso Ncd, Berlusconi ha deciso di puntare sulll’avvocato Giuseppe Pellacani, docente di diritto del lavoro. Pur di sopravvivere Silvio è pronto a tutto, anche a tornare con Angelino Alfano.