«Abbiamo mantenuto la parola data, alla faccia dei gufi e dei rosiconi». Le critiche non gli piacciono, è evidente. E così quando la conferenza stampa a Palazzo Chigi finisce, il presidente del Consiglio Matteo Renzi se la prende per l’ennesima volta con chi nelle scorse settimane ha messo in dubbio il taglio dell’Irpef. «Diamo dieci miliardi a dieci milioni di italiani, una cosa straordinaria» conferma. «Stiamo restituendo ai cittadini denari che sono loro». Chiaro, diretto, semplice. Comunicativamente parlando, efficace.
Delle capacità mediatiche del premier ormai non si stupisce più nessuno. Persino Silvio Berlusconi, l’uomo che ha rivoluzionato la comunicazione politica in Italia, lo ha pubblicamente riconosciuto. «Renzi è un comunicatore bravissimo» si è lasciato scappare l’ex Cavaliere durante la recente presentazione delle liste elettorali di Forza Italia. L’incontro al termine del Consiglio dei ministri per presentare al Paese i «mitici 80 euro» in busta paga, ne è l’ennesima dimostrazione.
Un mese fa Renzi aveva presentato il pacchetto di provvedimenti “La svolta buona” ricorrendo a una lunga serie di coloratissime slide. Le ironie dei giornali che avevano paragonato quella conferenza stampa a una televendita lo hanno convinto a cambiare registro. Stavolta per spiegare il decreto bastano dieci tweet. Semplici, incisivi, destinati a colpire l’immaginario popolare. Del resto gli interlocutori del premier non sono i giornalisti presenti in sala, ma gli italiani che lo ascoltano in televisione. Anche le decisioni meno rilevanti dal punto di vista economico diventano simbolicamente fondamentali.
Non è un caso se il premier parte proprio da #byebyeautoblu. Dal momento in cui il decreto sarà pubblicato in Gazzetta ufficiale, ogni ministero non potrà usufruire di più di cinque auto di servizio. «I sottosegretari andranno a piedi» sottolinea perfido Renzi. Il risparmio non sarà faraonico, «ma è il principio quello che conta: restituiamo credibilità alla politica». Certo, dal bonus introdotto dal governo sono stati esclusi incapienti e partite Iva. Per loro, promette il premier, arriveranno presto appositi provvedimenti. Intanto le “odiate” autoblu, essenza stessa della casta, saranno tagliate.
La rivoluzione renziana prende corpo, un tweet dopo l’altro. #opendata: tutte le spese di enti locali e centrali dovranno essere pubblicate online nel giro di sessanta giorni. #f35, il governo rimodellerà il discusso programma di acquisto dei cacciabombardieri risparmiando almeno 150 milioni di euro. #ognipromessaèdebito: i pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione saranno più rapidi. Alcuni hashtag sono da applausi. È il caso del capitolo che introduce un tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici, la #normaolivetti, in memoria del grande imprenditore piemontese. Altri sono effettivamente più discutibili. Quando sullo schermo appare #diesirap, titolo del taglio del 10 per cento alle imposte aziendali, Renzi riprende scherzosamente il portavoce Filippo Sensi, probabile autore del testo. «#diesirap? Non so chi l’ha pensato. È uno dei momenti più bassi di questi primi mesi di governo….».
Renzi insiste sul principio di serietà e responsabilità. Il concetto di “restituire i soldi agli italiani” lo ripete più volte, vuole che resti bene impresso nella mente di chi lo ascolta. Taglia dove la gente si aspetta che tagli, a partire dagli stipendi dei grandi manager di Stato. «Un tetto di ventimila euro al mese non mi sembra così drammatico», insiste sarcastico. «E se i manager decideranno di andare nel privato, avranno i nostri auguri e una lettera di referenze». C’è da scommettere che a casa qualcuno ha applaudito. «Questa è una rivoluzione» conferma il premier ossessivamente.
Sorrisi. Slogan. Qualche battuta. I detrattori del premier hanno contestato il bonus da ottanta euro, considerato un gettone pre-elettorale? Confermando l’introduzione dell’aumento in busta paga dal primo maggio, Renzi risponde con ironia: «Hanno detto che il taglio dell’Irpef è una misura elettorale. Sarebbe l’unica che arriva dopo le elezioni». È chiaro che i tanti dubbi avanzati in questi giorni sulle reali coperture del decreto non gli sono piaciuti. Le indiscrezioni di stampa vengono smentite con cura. «Non c’è alcun taglio alla sanità. Se trovate la parola sanità nel provvedimento vi offro da bere». Ma Renzi fa di più: distribuisce ai giornalisti la lista delle coperture, per il 2014 e il 2015, divisa per voci. Dalla lotta all’evasione all’innovazione, fino alla razionalizzazione delle municipalizzate: otto capitoli, con le relative risorse. Un grafico forse un po’ troppo semplificato, indubbiamente convincente dal punto di vista mediatico.
Marketing politico. Chi aveva mai visto un presidente del Consiglio farsi intervistare nello studio di Palazzo Chigi attraverso i Google Glass del suo interlocutore? (è successo qualche ora prima, protagonista il direttore de La Stampa Mario Calabresi). Le conferenze stampa di Enrico Letta sono lontane mille miglia. Mai paludato, battuta sempre pronta, Renzi punta molto sulla comunicazione. Forse è ancora presto per valutare la reale portata dei provvedimenti varati dal suo esecutivo. In attesa di approfondire la sostanza, non si può non cogliere la novità della forma. Alla fine il presidente del Consiglio esce dal palazzo e incontra la folla che si è assiepata a piazza Colonna. Saluti, strette di mano, qualche “cinque” con i più giovani. Un’improvvisazione a favore di cronisti, probabilmente. Il tempo di fare gli auguri di Buona Pasqua, poi di nuovo nei suoi uffici. «Andiamo avanti come un treno», giura. Alla faccia di gufi e rosiconi.