Caro direttore, quarta puntata

Caro direttore, quarta puntata

Come la pensano gli italiani lo si può comprendere anche dalle lettere ai giornali. C’è un sito, in Italia, che, quotidianamente, pubblica le lettere più interessanti, www.carodirettore.eu, nato per iniziativa dell’Azienda di soggiorno e turismo di Bolzano. Da oggi Linkiesta ne proporrà qualcuna, rimandando al sito i lettori che vorranno avere un panorama ancora più vasto di ciò che gli italiani scrivono ai giornali, quotidiani e periodici.

L’inglese non può essere lingua universale

Per quanto riguarda l’inglese come lingua universale (che sostituisce il latino di un tempo), mi permetto di dissentire. Fernand Braudel definiva l’inglese una lingua cacofonica per eccellenza. Solgenitsin non ha mai saputo che farsene. L’esempio della Svizzera plurilinguistica dovrebbe valere per tutti. Ho assistito a varie conferenze in quel Paese e altrove. Ogni relatore si esprimeva nel proprio idioma, e nessuno ha mai preteso che, per esempio, i tedeschi parlassero il francese e viceversa. Caso mai, dovevano gli uditori essere all’altezza di capire il discorso, e non una singola espressione linguistica a soverchiare le altre.

Lettera inviata alla Stampa, 16 maggio

Il Colosseo deve essere un’opportunità e non un problema

La questione della mancanza di personale al Colosseo nella notte dei Musei è emblematica di come in Italia le occasioni per creare ricchezza e occupazione non manchino ma vengano molte volte sprecate. E’ previsto che 50.000 persone affolleranno il Colosseo e questo diventa un problema e non una opportunità. Nello stesso tempo magari personale del tutto inutile presidia qualche museo deserto. Anche un bambino obietterebbe che con le migliaia di decine di euro portate dai turisti quella notte, si potrebbe incentivare il personale presente o meglio ancora implementarlo con personale di supporto (studenti e disoccupati per esempio) eppure questo non vien preso in considerazione. Alla domanda: «perché questo non viene fatto?» non resta che affidare la risposta a una famosa frase di Flaiano: «In Italia il percorso più breve tra due punti è l’arabesco». 

Lettera inviata alla Stampa, 16 maggio

Senza euro l’Italia ridotta a economia marginale

Chi auspica l’uscita dell’Italia dall’euro ha forse dimenticato prestiti e mutui a tassi proibitivi, corrispondenti all’inflazione a due cifre, le ricorrenti speculazioni sulla lira e susseguenti svalutazioni che, se davano per qualche mese un vantaggio artificiale alle esportazioni, facevano aumentare la fattura energetica generando ancora più inflazione. L’entrata nell’euro ha segnato la fine dell’illusione di potere vivere al di là dei nostri mezzi, rinviando riforme dolorose ma necessarie, in un contesto di globalizzazione irreversibile. Si può davvero rimpiangere la finanza allegra, la creazione di liquidità stampando moneta, l’accumularsi di un debito pubblico sconsiderato che ricade sulle future generazioni? L’euro, ed i corrispondenti meccanismi di convergenza economica e monetaria, sono una diga che ha protetto l’Italia dal declassamento al rango delle economie marginali. Il mondo si muove verso la formazione di aggregati economici regionali che sono a loro volta la premessa di una governance economica planetaria già in atto. Mi interrogo sulla buonafede di chi per ragioni elettorali illude con irrealistici ritorni al passato.

Lettera inviata a Repubblica, 16 maggio

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