Nel 1704, il direttore delle poste di Boston, John Campbell, decideva di trasformare il suo bollettino compilato a mano in un giornale stampato su una singola facciata e lo battezzò “Boston News-Letter”, realizzando così la prima pubblicazione giornalistica stabile delle Colonie britanniche. In breve tempo riuscì a farsi un pubblico di 250 fedelissimi abbonati. «Ai proclami della Corona e alle notizie dall’estero veniva data la precedenza; subito dopo venivano le notizie dalle altre colonie e infine quelle locali» scrive in Writing on the Wall: Social Media. The first 2000 years il giornalista Tom Standage. «Campbell raccoglieva le sue informazioni chiacchierando con marinai, viaggiatori, funzionari locali e con gli avventori del suo ufficio postale, o attraverso i bollettini, manoscritti, diffusi dagli altri direttori di posta. Ma la massima parte delle storie che comparivano sulla “Boston News-Letter” venivano ricopiate dai giornali londinesi». Campbell, insomma, compilava una specie di blog, lucrando sulla curation delle notizie.
Per buona parte della storia, le “notizie” venivano diffuse in questo modo. L’epoca dell’industria della notizia, in cui i consumatori si affezionano a un giornale che produce in proprio quasi tutta la cronaca, è relativamente recente. Da quando esiste il web ci siamo riabituati a leggere le notizie aggregandole da varie fonti e negli ultimi anni la modalità di consumo più popolare consiste nella lettura attraverso un’app o sulla versione mobile dei siti dei quotidiani. Gli editori non amano molto queste app, che però funzionano benissimo per i cosiddetti “curatori di contenuto” (content curator) e da qualche tempo il settore delle app per l’accesso in mobilità a notizie selezionate in questo modo presenta una fioritura di investimenti e nuove iniziative.
Da un punto di vista tassonomico finora abbiamo avuto tre tipi di app giornalistiche: ci sono le app associate alle singole testate, come Economist, Financial Times, o Huffington Post; app che invece impiegano modalità automatiche per selezionare e concentrare notizie provenienti da una varietà di fonti, come Pulse, Zite o Summly (quest’ultima, inventata dal teenager-imprenditore Nick D’Aloisio, utilizza algoritmi d’intelligenza artificiale per riassumere gli articoli ed è stata acquistata da Yahoo per trenta milioni di dollari); infine app che vengono personalizzate dagli stessi utenti; tra i tanti esempi quelli di Feedly e NetNewsWire. Due nuove app, Inside e Paper, adottano un approccio diverso: anch’esse effettuano la loro selezione da numerose fonti, ma le notizie pubblicate vengono “curate” da una vera e propria redazione partendo da pubblicazioni autorevoli. Graficamente entrambe le app sono progettate in base ai criteri “jobsiani” della massima semplicità. Questa strategia comune produce risultati molto diversi.
Inside: il punto di partenza per tutti i giornali
Inside, creatura dell’imprenditore digitale Jason Calacanis, si propone di mostrare ai suoi utenti tutte le notizie possibili. «Mi piacerebbe diventare il punto di partenza di tutti i lettori di giornali», dichiara infatti Calacanis (che in una fase precedente della sua carriera ha editato il “Silicon Alley Reporter” e ha co-fondato il multiblog “Weblogs” e il motore di ricerca Mahalo). «Stiamo già dando copertura a due “filiere”, quella intermedia e quella principale, delle tre che rappresentano l’insieme dei contenuti del web». Calacanis intende dire che a Inside non interessa coprire la “filiera lunga”, costituita dalle notizie di nicchia, che singolarmente attirano solo un numero molto limitato di lettori. «Quando riusciremo a triplicare il nostro raggio d’azione raggiungendo i duemilacinquecento, tremila aggiornamenti quotidiani saremo in grado di coprire ogni articolo, di primaria o secondaria importanza, apparso sulle principali pubblicazioni americane e su quelle di media grandezza».
L’interfaccia di Inside ricorda una serie di mazzi di carte: un flusso di notizie scorre articolo dopo articolo e, nella parte inferiore, sotto ogni storia su cui è possibile “fare swipe”, vengono visualizzati altri articoli di argomento correlato. L’aggiornamento è ciò che Calacanis definisce “unità giornalistica atomizzata”: una fotografia, un titolo e duecentocinquanta caratteri di un testo che riassume cinque o sei fatti. La funzionalità dell’app si limita a un collegamento, in bella evidenza, verso la fonte originale dell’articolo e alla possibilità di mettere un “mi piace” o “non mi piace”, di commentare o condividere la storia. Assegnare un “mi piace” equivale a fare in modo che analoghi contenuti vengano automaticamente inseriti tra le storie di “My Feed” (il flusso personale).
Ogni nuovo aggiornamento, estratto da oltre un centinaio di pubblicazioni diverse, viene elaborato da una squadra di giornalisti freelance che riportano a un vero e proprio caporedattore. Calacanis sostiene che il suo obiettivo consiste nel «fare piazza pulita di tanto inutile reblogging, contribuendo a ravvivare l’interesse nei confronti della cronaca originale». Aggiunge che «ogni volta che si andava a guardare su siti come Business Insider era facile accorgersi che una storia su cinque nasceva come eccellente contributo originale e le altre quattro erano semplici esche mascherate da link, rimaneggiate alla meglio dai social media. Ogni volta che troviamo un pezzo degno di questo nome, risaliamo alla fonte originaria e pubblichiamo un link a questa fonte». Tutta questa enfasi sulla cronaca originale non è priva di risvolti ironici, visto che Inside di per sé non fa nuovo giornalismo. Ma, come Calcanis deve ammettere, gli investitori (Inside tra gli altri ha reclutato Sequoia Capital, Elon Musk e Fred Wilson) «in genere non amano il contenuto su Internet».
Paper: “muoviti in fretta e crea scompiglio”
Paper è stato sviluppato dai Creative Labs di Facebook, un gruppo molto rilassato di programmatori costituito da Mark Zuckerberg in seno al colosso dei social network per perseguire applicazioni e progetti strani e interessanti. In questo modo Zuckerberg confida che le idee migliori dei suoi Creative Labs possano venire utilizzate nei vari prodotti di Facebook per il mobile o il desktop, consentendo a un’azienda poco amante del rischio di restare fedele al proprio motto: “Muoviti in fretta e crea scompiglio”. Michael Reckhow, responsabile di prodotto per Paper, nega che questa sia un’app sperimentale. Aggiungendo che non si tratta di un semplice lettore di notizie: «Non volevamo aggiustare il concetto di app giornalistica, ma abbiamo inventato uno strumento di condivisione più efficace».
A Reckhow la parola esperimento può non piacere, ma è difficile non guardare a Paper come un primo tentativo di immaginare quella che avrebbe potuto essere un’app per iPhone di Facebook se non fosse così “facebookiana”, cioè se fosse stata sviluppata da persone dotate di buon gusto per la progettazione grafica, attenzione all’esperienza utenza, interesse nei confronti delle vere notizie e una spensierata indifferenza nei confronti dei ricavi pubblicitari.
Paper elimina il lungo diario di Facebook. Al suo posto, l’utente si trova davanti un mosaico di tessere che rappresentano i diversi argomenti (delle riviste in miniatura) da esplorare. Facendo swipe verso sinistra, in successione si possono leggere i post dei propri amici su Facebook, i titoli di cronaca, le notizie tecnologiche, o rubriche come “Creatori”, “Idee”, “Il pianeta”, “Gusto”, “Impresa” e così via. Nella parte sottostante, c’è una fascia a scorrimento orizzontale con gli articoli selezionati da curatori e algoritmi automatici, partendo da pubblicazioni autorevoli o da altri utenti di Facebook, che vengono redatti e ordinati in base alla scelta dei curatori. Secondo Reckhow, «la combinazione tra curatori umani e algoritmi è molto potente». Facendo tap su un articolo, l’aggiornamento viene ingrandito su tutto lo schermo dell’iPhone, in modo non dissimile da quanto avviene con le “unità atomiche” di Inside. Facendo nuovamente tap, l’articolo si piega come un foglio di carta.
Il responsabile del design di Paper, Mike Matas, che in passato aveva partecipato al progetto del termostato Nest e aveva co-fondato la casa editrice Push Pop Press, ha studiato a lungo quello che sarebbe stato l’aspetto definitivo degli articoli. I caratteri tipografici delle pubblicazioni vengono riproposti fedelmente. La testata viene messa in evidenza (per esempio, gli aggiornamenti che arrivano da “National Geographic” mantengono il tradizionale bordino giallo della copertina della rivista) a spese del brand di Facebook. «Volevamo rispettare nel modo più autentico il contenuto originale», conferma Matas. Un altro segnale di questo rispetto è la totale soppressione delle barre e delle icone di navigazione (“croma”, nel gergo di chi progetta le interfacce utente) che siamo abituati a trovare all’interno di un’app mobile e che viene puntualmente utilizzata da Inside. L’esplorazione in Paper avviene attraverso gesti molto naturali: si termina la lettura facendo swipe verso il basso; un nuovo swipe verso il basso ci riporta alla banda orizzontale delle notizie. Come avviene in Inside, le funzionalità sono limitate: il lettore può dare il suo “mi piace”, commentare o condividere. Ma a differenza di Inside, Paper consente di creare le proprie notizie e postarle su Facebook.
Entrambe le app sono ancora in fase di aggiustamento, autentiche interpreti del dogma della “programmazione agile” predominante nella Silicon Valley, dove le aziende sono costrette a “rilasciare (un software) o morire”. Qui le software-house sono solite lanciare prodotti appena sopra la soglia della “usabilità” e le successive funzioni vengono integrate in fretta, in risposta a test di natura statistica. Il risultato è che entrambe le applicazioni hanno un non so che di incompiuto. Al momento non è possibile effettuare ricerche tra gli articoli di Inside. Paper non consente, per ora, di personalizzare il diario delle notizie. Ma entrambe le app, Paper in particolare, sono “belle”, esteticamente. Come app per la lettura di notizie Inside è molto più efficace ed è più fedele alle notizie originali; Paper in compenso ha una cura più gradevole di alcune notizie e rende più efficace la funzione fondamentale di Facebook: la condivisione tra gli amici.
Il motivo principale della sobria bellezza di queste due applicazioni è ovviamente l’assenza di pubblicità. «Lavoriamo come una startup», spiega Reckhow, «cercando di fare in modo che la gente utilizzi quotidianamente la nostra applicazioni. Alla pubblicità penseremo dopo».
Calacanis parte dallo stesso concetto: «Qui in startuplandia il modello consiste semplicemente nell’ottenere tra l’1 e il 10 per cento di crescita aggregata a settimana. Per le start-up che riescono a crescere in questo modo, il denaro è a costo zero. A un certo punto, quando arriva la soglia critica oggi collocata tra i 20 e i 100 milioni di utenti al mese, prevedo due modi per far soldi: abbonamenti o pubblicità spontanea».
Entrambe le app mi sono piaciute molto; per Facebook sto utilizzando Paper più frequentemente dell’app ufficiale per seguire i miei amici e almeno una o due volte al giorno consulto Inside. La popolarità tra gli altri utenti è abbastanza elevata. Secondo una ricerca di mercato svolta da App Annie, a partire dal suo rilascio in gennaio Inside ha fluttuato tra la sesta e la 859esima posizione della classifica di iTunes per le app giornalistiche (sulla base del numero di download). Paper ha debuttato sullo Store a febbraio in prima posizione della classifica dei social network e al secondo della classifica generale.
Entrambe rendono talmente fluido, compulsivo e gradevole l’accesso alle notizie da farmi pensare al motivo per cui siamo tutti così attratti dall’idea di “notizia” in sé. Qual è, intendo, il senso ultimo della notizia generalista quando non la consumiamo per ricavarne un vantaggio competitivo per il nostro lavoro o la carriera? Per un economista come Erik Brynjolfsson, del Centro per l’Economia Digitale della Sloan School of Management al MIT, la risposta è intuitiva: «Le news generaliste sono esclusivamente fine a se stesse, come la musica, la buona cucina, il gioco. Per definizione, tutto ciò che ci rende felici ha una sua utilità». Gli economisti riescono a misurare l’utilità mettendo a confronto quelle che il compianto Paul Samuelson chiamava le “preferenze esplicite” dei consumatori: quelle di chi preferisce ascoltare una canzone dei Velvet Underground o di chi invece vuole leggere un racconto di David Rotman.
Come per tutte le risposte “intuitive” fornite dagli economisti anche questa è vera, ma non conclusiva. Il filosofo del pop Alain de Botton suggerisce che lo scopo della notizia è quello di distrarci. «Leggiamo le strane storie pubblicate sui giornali perché emergano le cose ancora più strane che nascondiamo dentro». Ma la risposta di natura sociologica è forse più autentica: le notizie sono una sorta di versione nobile del pettegolezzo. Soddisfano la nostra curiosità, i nostri interessi e contribuiscono alla circolazione di idee e opinioni. Non è cosa da poco. Facilitando come non mai la lettura delle notizie in mobilità, Inside e Paper diventano piccole fabbriche di bene comune.