C’era una volta l’asse del Nord di Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, custodito dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Fu il centrodestra più forte dei primi anni del secondo millennio, sostenuto persino dagli ex Alleanza Nazionale e dalle truppe di Comunione e Liberazione. Ora, dopo le elezioni europee e amministrative del 2014, non è rimasto più niente. Il Cavaliere dimostra ancora una volta di essere l’unico in quest’aerea a intercettare i voti (16,8%), ma sono sempre di meno, per di più con gli altri ex partiti di coalizione a livelli davvero bassi (Fratelli d’Italia non è neppure al 4%).
Dal Settentrione al Meridione comuni e regioni passano sotto l’egida del Partito democratico di Matteo Renzi. Finiscono le alleanze e restano le macerie di un centrodestra scomparso nelle valli padane di Veneto, Piemonte e Lombardia, con una Forza Italia mai così bassa a livello regionale – intorno al 15% e per la prima volta sotto la media nazionale -, una Lega Nord che non crolla del tutto, ma lascia lo storico voto azzurro in mano al Partito democratico. Messi insieme tutti i partiti arriverebbero comunque a dieci punti di distanza dal Pd.
Berlusconi, Bossi e Tremonti alla Camera il 13 ottobre 2011 (ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)
Restano i detriti in sostanza, di un centrodestra più che mai frammentato in troppi partiti dalle percentuali al lumicino, senza una guida vera, appeso ancora una volta alle intenzioni (o meglio le speranze di molti, ndr) sul fatto che Marina Berlusconi, la figlia del Cavaliere, possa scendere in campo. Incognite e dubbi, agganciate a un governo che potrebbe durare ancora a lungo, fino al 2018, con la “vocazione” imprenditoriale dell’ex presidente del Consiglio che ormai non convince più: Berlusconi tra quattro anni avrà 82 anni e con tutta probabilità non potrà dare una mano. Il crollo della classe dirigente azzurra è devastante in queste zone. E ci sarà un motivo se Forza Italia riesce a fare i risultati migliori nel Sud Italia, grazie ai cosiddetti «baroni del voto» come Raffaele Fitto, il nuovo delfino pronto a sparigliare il cerchio magico berlusconiano di Maria Rosaria Rossi e Giovanni Toti, su cui già in molti vogliono riversare le responsabilità della sconfitta.
Al Nord, nella terra delle partite Iva, degli artigiani e delle piccole media imprese, 30% del Pil italiano, vince il Partito democratico di Matteo Renzi. È questo il vero boom, non quello dei grillini, della tornata elettorale del 25 maggio 2014. Lo si sente a Milano, centrostorico, storica roccaforte forzista già ammaccata dalla vittoria di Giuliano Pisapia nel 2011, dove il Pd raggiunge il 50% dei consensi. Lo si avverte nel nord-ovest. Il centrosinistra renziano, dopo anni in sordina, riprende in mano il Piemonte un tempo leghista con Sergio Chiamaparino. Non solo. Porta al ballottaggio il renziano Giorgio Gori contro Franco Trentorio a Bergamo.
Il neopresidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, con Matteo Renzi il 12 aprile scorso (MARCO BERTORELLO/AFP/Getty Images)
La valanga Renzi non si ferma qui, Travolge anche i centri più piccoli dove Forza Italia, Lega e Nuovo Centrodestra avevano il loro bacino di voti storici, spezzettato e ormai sbriciolato negli enti locali e nelle municipalizzate. Il Partito Democratico e il centrosinistra avanzano nell’Area metropolitana Milanese anche con il voto amministrativo, conquistando 35 Comuni, di cui 13 «vinti» al centrodestra: prima del voto i Comuni governati dal centrosinistra erano 30. Cosa è rimasto del centrodestra? Nei Comuni sopra i 15.000 abitanti nessuna sconfitta al primo turno per Pd. Significative invece le vittorie di Cornaredo, preso alla Lega Nord, Settimo Milanese e Cormano. Simbolica poi la vittoria della Lista Civica sostenuta anche dal Pd ad Arconate, feudo dell’assessore regionale Mauro Mantovani, altro fedelissimo di Berlusconi.
Tra due settimane ci saranno i ballottaggi a Rozzano, Cusano Milanino, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio, Novate Milanese, Peschiera Borromeo, Melzo, Paderno Dugnano e Pioltello. In sette di questi Comuni il Pd parte in una condizione di vantaggio. E poi ancora Pavia dove «il numero uno» (copyright Berlusconi) Alessandro Cattaneo pur con buoni risultati, già premiato tra i sindaci più apprezzati d’Italia, è costretto al ballottaggio con Massimo Depaoli. Idem a Cremona dove l’uscente è Oreste Perri del centrodestra, anche lui inchiodato al secondo turno. Il Partito Democratico vacilla solo a Padova dove Oreste Rossi dovrà sfidare Massimo Bitonci, storico espondente della Lega Nord. Ma in generale è il Pd a convincere da queste da parti, dopo anni di tentativi da parte di Walter Veltroni e Luigi Bersani. Renzi spariglia. Forse, come la definisce qualcuno, «è l’ultimo treno».
In ogni caso a perdere da queste parti è stato soprattutto il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Se i grillini dovevano intercettare il voto leghista – cavalcato in questi mesi persino con un paio di post sul blog del comico genovese d’ispirazione federalista – in realtà hanno confermato la loro difficoltà nell’espugnare il territorio. In Piemonte, dove alcuni sondaggi davano Bono quasi appaiato a Chiamparino, la sfida per il secondo posto si è ridotta tra M5s e Forza Italia, con la vittoria della medaglia d’argendo da parte dell’azzurro Gilberto Pichetto. E pensare che nemmeno quattro anni fa il film era diverso, con il Carroccio in festa per la conquista di Palazzo Lascaris a Torino con Roberto Cota e del Veneto con Luca Zaia. Il crollo lo si sente soprattutto nel Nord Est. Renzi intercetta voti dei grillini delusi, di Forza Italia e della giovane Scelta Civica di Mario Monti.
Resta la rabbia di Berlusconi, la speranza del segretario del Carroccio Matteo Salvini e l’inconsistenza del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Ci saranno le primarie per il nuovo leader? Ci sarà Marina Berlusconi? Ci sarà Angelino Alfano? Maurizio Lupi, capolista e ministro alle Infrastrutture, raggiunge 45mila preferenze. Nella terra che fu per vent’anni di Roberto Formigoni i moderati di Ncd non sfondano, raggiungono il quorum grazie all’Udc di Pierferdinando Casini. Il Cavaliere, a quanto pare, sarebbe pronto ad avviare una fase di riavvicinamento con i tanti ex compagni di partito. Persino con quei Fratelli d’italia di Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, spazzati via dall’europarlamento senza nemmeno raggiungere la soglia del 4%. Ci sarà tempo per pensare a palazzo Grazioli e a villa San Martino ad Arcore. Di certo il rapporto tra Berlusconi e il Nord si interrompe in maniera abbastanza netta. Rispetto a Grillo, se amore doveva essere dopo le politiche del 2013, allora non è mai iniziato. Al momento c’è solo la valanga Renzi.