«Un’intera generazione di americani ha raggiunto la maggiore età con la consapevolezza che gli Stati Uniti non potessero competere nell’arena della produzione mondiale con concorrenti a basso costo come la Cina e il Brasile. Questo può essere stato vero un decennio fa, ma oggi non è più vero». Così inizia un articolo su Businessweek sui nuovi studi comparativi sui costi di produzione nel mondo. L’autore è Harold L. Sirkin, un senior partner di The Boston Consulting Group (Bcg) e professore alla Kellogg School of Management della Northwestern University di Chicago. Ne viene fuori un quadro molto ottimistico per gli Stati Uniti. Purtroppo l’Italia non ne esce altrettanto bene.
Ecco i principali passaggi dell’analisi:
Ho recentemente completato una review sui costi di produzione nelle 25 nazioni che esportano di più nel mondo, con i miei colleghi Justin Rose e Michael Zinser. La nostra ricerca mostra che considerando i fattori economici più importanti – costo del lavoro totale, spese per l’energia, crescita della produttività e tassi di cambia – il Brasile è una delle nazioni con i costi di produzione più elevati nel mondo, il Messico è più economico della Cina, la Cina è quasi pari con gli Stati Uniti (come lo sono la maggior parte dei Paesi dell’Europa dell’Est tradizionalmente a basso costo), e che il leader per la produzione low cost nell’Europa occidentale non è altro che il Paese che lanciò la rivoluzione industriale: il Regno Unito.
Quindi buttiamo via il vecchio copione. Benvenuti nella nuova era.
Il Paese con i costi di produzione più bassi, abbiamo scoperto, non è la Cina. È l’Indonesia, seguita dall’India, dal Messico e dalla Thailandia. La Cina viene dopo, con i costi di Taiwan solo un poco più alti e quelli degli Stati Uniti un po’ più sopra, cosa che posiziona l’America al numero sette nel nostro studio.
Dato che il costo del lavoro in Cina cresce, la produttività americana progredisce e le spese per l’energia negli Stati Uniti precipitano, la differenza nei costi di produzione tra la Cina e gli Stati Uniti si è assottigliata a un tale livello che è quasi insignificante. Per ogni dollaro richiesto per produrre negli Usa, ora il costo per la produzione in Cina è di 96 centesimi, prima di considerare i costi di trasporto negli Usa e altri fattori. Per molte società, non vale certo la pena produrre in Cina quando all’equazione si aggiungono la qualità del prodotto, la tutela della proprietà intellettuale e i problemi legati a una supply-chain (catena delle forniture) a lunga distanza.
Per la cronaca, i Paesi con i costi di produzione maggiori tra le 25 nazioni che abbiamo studiato sono Australia, Svizzera, Brasile, Francia, Italia, Belgio e Germania, tutte con costi più alti tra il 20 e il 30 per cento rispetto agli Usa.
Quelli che erano le destinazioni più a buon mercato, tra cui il Brasile, la Cina, la Repubblica Ceca, la Polonia e la Russia, hanno visto un incremento significativo nei rispettivi costi di produzione a partire dal 2004, a causa di alcune combinazioni di bruschi incrementi dei salari, ristagno della crescita della produttività, inversioni sfavorevoli dei cambi e marcati aumenti dei costi dell’energia.
Diversi Paesi che erano relativamente cari un decennio fa, molti dei quali nell’Europa occidentale, sono diventati più cari in confronto all’America. I costi di produzione in Belgio e Svezia sono cresciuti del 7 per cento dal 2004 al 2014, e in Francia e Italia sono saliti di 10 punti percentuali. A causa soprattutto dei progressi nella produttività, il Regno Unito ha invece contenuto i suoi costi.
I due Paesi che hanno fatto i passi avanti maggiori nella competitività industriale sono stati il Messico e gli Stati Uniti. Le ragioni principali sono state la crescita equilibrata nei salari, i progressi sostenuti della produttività, i tassi di cambio stabili e un grande vantaggio sul fronte dell’energia che gli Stati Uniti hanno afferrato da quando è cominciato il boom dello shale gas. I nuovi dati sono più che cibo per il pensiero: sono cibo per l’azione.
Molte società continuano a fare decisioni su investimenti industriali basate su convinzioni di un decennio fa o ancor prima. Vedono ancora il Nord America come ad alto costo e l’America Latina, l’Europa dell’Est e l’Asia, soprattutto la Cina, come low cost. I nuovi dati mostrano che oggi c’è un competitivo mercato delle opportunità produttive, con Paesi ad alto costo e a basso costo quasi dovunque.