La nautica italiana è viva e lotta insieme a noi. La nautica in Italia è morta e lo sarà per un bel pezzo. Spieghiamo: pur colpito in maniera devastante, terrificante, assurdo il comparto ha chiuso il 2013 con una flessione “solo” del tre per cento rispetto al 2012. Nessuno ha stappato Champagne (pardon, Prosecco visti i tempi) ma pensando che all’ultimo Salone di Genova si pronosticava anche un meno otto, un lieve sorriso è d’obbligo. Tanto più in occasione del Satec di Santa Margherita Ligure, la convention dell’Ucina Confindustria Nautica – l’associazione di categoria – che in definitiva si trasforma negli stati generali del settore. Un’assemblea importante perché segna la fine dell’era di Anton Francesco Albertoni, dopo otto anni a gestire prima il boom, poi la crisi e infine il disastro. A sorpresa come suo successore è stato eletto Massimo Perotti, presidente di Sanlorenzo, un cantiere che secondo la rivista americana Showboats International è il secondo produttore al mondo di megayacht, considerando gli ordini per il 2014. Perotti ha davanti una missione impossibile più di quelle che svolgeva Tom Cruise.
Massimo Perotti, presidente di Sanlorenzo e nuovo presidente dell’associazione dei costruttori Ucina
Basta guardare le cifre. Il comparto ha chiuso il 2013 con un fatturato di 2,4 miliardi di euro, tornando ai livelli del 2000. Nel 2008, ultimo anno favoloso, era stato di 6,2 miliardi. Il dramma è che la quota di export della cantieristica nazionale – i costruttori, per intenderci – ha toccato il 93 per cento: era l’86 nel 2012 e il 54 nel 2008. Considerando che il valore complessivo è di circa 1,3 miliardi di euro, vuol dire che lo scorso anno il mercato interno “delle barche” non ha superato 100 milioni di euro. Praticamente non esiste più, come ha evidenziato una recente inchiesta di Yacht Capital, magazine leader del settore: due dati fra i tanti balzano all’occhio, la perdita dal 2011 di oltre 10mila posti di lavoro e i 36mila ormeggi “spariti”, sostanzialmente per la fuga degli armatori. «Colpa di una crisi senza precedenti ma anche delle scelte miopi della politica sul comparto – sottolinea Albertoni – molto è stato fatto per contrastare un’immagine distorta e poco affine con lo spirito di imprenditori e diportisti che oggi sono guardati con minor sospetto (su questo i dubbi sono legittimi, ndr) grazie a una serie di nostre iniziative. Ma resta la sensazione che più i legiferatori ci stanno distanti, meglio è». Ecco su questo, piena sintonia.
Ma più che rivangare i disastri montiani e i diktat beferiani (tanto che serve?), la cosa che più inquieta che tutti continuano a parlare al vento, a dissertare di cosa servirebbe alla nautica per riprendersi, a credere nelle potenzialità del settore che un tempo era uno dei punti di forza del Pil nazionale, a esaltare l’incredibile moltiplicatore che dà un cantiere e ancora (poi basta, promesso) a spiegare che il turismo nautico sarebbe la salvezza del Paese e del Sud in particolare visto che è la Florida del Mediterraneo. Su Yacht Capital, che ha seguito la Conferenza su diporto e lavoro organizzata a Roma dal Pd (al Governo, lo ricordiamo), abbiamo letto frasi come quella di Luigi Zanda – non uno dei tanti, è presidente dei senatori – che promette «Il nostro partito sosterrà tutte le iniziative che supportano la nautica: ha un ruolo importantissimo nel sistema produttivo italiano». Era il 25 febbraio. Se avete traccia di un’iniziativa, scrivete. A noi non risulta nulla: molto più importante, ovviamente, la riforma del Senato. Ma ci è cascato pure un economista con i fiocchi, Massimo Mucchetti, presidente della 10° commissione industria, commercio e turismo del Senato. «Dobbiamo togliere lacci e lacciuoli al settore nautico, un mondo che vive di tre eccellenze italiane: manifattura, servizi e turismo». Non è solo scontato e sentito 12.345 volte. È malinconico. Siamo in totale assenza e perenne ritardo sul tema, salvo quando c’è da imporre balzelli: e allora lì, si prendono decisioni letali alle quattro della mattina. Piace citare una felice (amara) frase di Roberto Perocchio, presidente di Assomarinas. «I posti barca sono arrivati quando sia la crisi sia le scelte politiche hanno portato le imbarcazioni o fuori dall’acqua o fuori dall’Italia». Chi anticipava sciagure o semplicemente aveva forti perplessità sulle decisioni istituzionali era bollato come qualunquista o servo dei cantieri. Dobbiamo ricordare – perdonateci – che la tassa di stazionamento è riuscita nella meravigliosa impresa di far incassare all’Erario un sesto degli introiti previsti?
La morale è che gli addetti ai lavori aspettano come manna dal cielo che a fine 2014 ci sia un segno più sul fatturato. Anche fosse lo 0,2 per cento. «Per farlo occorre che le barche vengano usate e per raggiungere questo obiettivo è necessario che ci siano controlli meno invadenti – è il commiato del buon Albertoni – il registro telematico per le imbarcazioni è in fase di realizzazione, nel frattempo abbiamo chiesto al Governo che conceda al settore una moratoria affinché per l’estate i controlli preventivi di Capitanerie e Guardia di Finanza vengano eseguiti solo all’ormeggio, con verifiche in mare limitate ai casi di illeciti». Al di là che credere è un diritto, non un dovere (e noi, in questo Paese ai limiti dell’anarchia, non reputiamo che i “controllori” lascino in pace i naviganti, neppure se il Governo concedesse questa moratoria), torniamo al solito punto. Impossibile restare distanti da “loro”, anche se lo auspichi con tutte le forze: sono loro che verranno da te. Quindi amici diportisti, se non siete già fuggiti e non avete ancora messo in vendita l’amata barca, arrendetevi e partite: poche miglia verso Ovest o verso Est e vi sembrerà il Paradiso in mare.