In una intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera la Segretaria Generale della Cgil, Susanna Camusso, sollecita il Segretario del Partito Democratico a trasformare quest’ultimo in un partito «che abbia come blocco sociale di riferimento il lavoro». Non penso che con l’espressione “lavoro” Susanna Camusso intenda indicare soltanto l’attività retribuita dei lavoratori subordinati; d’altra parte, anche allargata a ricomprendere il lavoro autonomo questa espressione non pare adatta a individuare la constituency di un partito moderno: perché mai, infatti, questo dovrebbe essere insensibile o addirittura contrario agli interessi degli imprenditori? Del resto, non è forse “lavoro”, nel senso degli articoli 1 e 4 della Costituzione, anche quello di chi costruisce e guida una intrapresa economica? E poi, non è forse vero che senza impresa non c’è neppure il lavoro? A questo punto, però, il termine “lavoro” in che senso connota l’orientamento di un grande partito nazionale?
Un’altra proposta che la Segretaria Generale della Cgil ha rivolto al Segretario del Partito Democratico riguarda la riforma delle amministrazioni pubbliche: «noi chiediamo di estendere il sistema contrattuale privato al sistema pubblico». Fin qui tutto bene. Ma la proposta prosegue: «Sì, con le stesse regole, compresa la mobilità contrattata, compresi i premi di risultato». Ora, il grande problema è proprio che nel settore pubblico non si muove nulla se non è contrattato con il sindacato. Viceversa, se vogliamo essere precisi, nel settore privato il termine “mobilità” indica principalmente la procedura per la riduzione di personale nelle imprese mediante licenziamento collettivo; e, come ognuno sa, il licenziamento è un atto unilaterale dell’imprenditore, non è affatto “contrattato”.
Non solo: in una azienda privata, se un lavoratore è di troppo in un reparto e può essere utilizzato meglio in un altro, anche il trasferimento può essere disposto unilateralmente dall’imprenditore. Insomma: ciò che differenzia il settore privato da quello pubblico o para-pubblico è che i dirigenti rispondono dei risultati, ma hanno prerogative gestionali alle quali i dirigenti pubblici hanno da tempo rinunciato, cedendo proprio a un sindacato che imponeva loro di contrattare tutto, in cambio della irresponsabilità circa i risultati. Quanto ai premi che ai risultati medesimi dovrebbero conseguire, si rende conto la Segretaria della Cgil che essi presuppongono una valutazione sistematica dei rendimenti, che è proprio quanto il sindacato nel settore pubblico ha sempre rifiutato e tuttora rifiuta? Non pensa Susanna Camusso che proprio questo sia il motivo della profonda frattura che divide oggi il lavoro privato dal lavoro pubblico? Forse, prima di parlare di «partito che abbia come blocco sociale di riferimento il lavoro» non sarebbe male un chiarimento su questo tema, niente affatto marginale.