Le rinnovabili cercano la salvezza all’estero

Le rinnovabili cercano la salvezza all’estero

Non solo chiusure, ma anche spostamento da un segmento di mercato all’altro, specializzazione tecnologica e ricerca di nuovi mercati promettenti oltreconfine. Il settore delle energie rinnovabili è nel pieno di una profonda trasformazione nel nostro Paese, con il taglio netto agli incentivi che ha mandato in crisi molte aziende e spinto altre a rinnovarsi, talvolta con successo. Cambiare per non morire: una strada diventata ancora più obbligata dopo che il decreto competitività è andato in Gazzetta ufficiale. La norma, presentata mercoledì 18 giugno dal ministro Federica Guidi e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, ritocca gli incentivi agli impianti fotovoltaici per consentire un taglio del costo dell’energia del 10 per cento ai consumatori. Il decreto spalmerà in 24 anni incentivi che fino a ieri erano previsti in 20; in alternativa ridurrà dell’8% l’entità degli aiuti. Un taglio di circa 500 milioni all’anno, sui circa 6,5 miliardi a cui sono arrivati gli incentivi per il fotovoltaico (sui 12,5 di tutte le rinnovabili), una cifra che in 20 anni porta il conto tra i 200 e i 250 miliardi di euro.  

Sviluppo al rallentatore

Cominciando dai dati, va subito detto che l’Italia non è più il motore della crescita europea (come risultava essere fino a pochi anni fa), ma resta comunque uno dei Paesi più avanzati su questo fronte.

«Lo scorso anno l’Italia ha superato la barriera dei 100 TWh prodotti da fonti rinnovabili», spiega Lorenzo Colasanti, che fa parte dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano. «Il parco impianti è composto per un terzo della sua potenza da impianti idroelettrici, un terzo da solare e la rimanente parte da eolico, biomasse e geotermico». Di pari passo è partita la grande transizione dalla produzione di grandi impianti verso strutture più piccole, che richiedono investimenti limitati, anche alla luce dei nuovi indirizzi normativi che favoriscono i sistemi di produzione di ridotte dimensioni, «che si integrano con il territorio e l’ambiente circostante, risultando meno invasivi», spiega l’esperto. «La maggior facilità di integrazione permette anche di sfruttare sinergie con il territorio non possibili per i grandi impianti che ricercano invece grandi volumi per il raggiungimento di economie di scala».

Gli impianti di taglia mini si sono diffusi tra tutte le tecnologie per la produzione da biomasse agroforestali, impianti a biogas, nell’eolico e nell’idroelettrico. Il fenomeno sta riguardando anche le biomasse agroforestali, «con un rinnovato interesse per gli impianti di piccola taglia con tecnologia Orc (Organic Rankine Cycle), che possono produrre sia energia elettrica che termica e si prestano ad alimentare un piccola rete di teleriscaldamento cittadino». Negli ultimi due Registri (Gennaio 2013 e Luglio 2013) per l’accesso agli incentivi, gli impianti a biomasse agroforestale con potenza inferiore a 1 MW hanno ricevuto richieste per 122 nuovi impianti pari a circa 240 MW.

Se si sposta l’orizzonte di osservazione dai dati dello stock alle nuove realizzazioni lo scenario non è però così positivo, tanto che l’eolico nel 2013 ha fatto addirittura registrare il record negativo di installazioni con soli 450 nuovi MW, entre nel periodo 2010-2012 le installazioni annue si muovevano ad un ritmo di poco superiore a 1 GW.

Alla ricerca di alternative

Carlo Durante, managing partner di eLeMeNS, società di analisi sui temi dell’energia, conferma le difficoltà attuali del mercato: «Parte della filiera e in particolare sviluppatori e installatori hanno improvvisamente visto restringersi fino a esaurirsi il mercato nell’ultimo anno, dopo la stretta normativa sul fronte degli incentivi e solo pochi hanno appreso come sopravvivere ripensando il proprio business».

Secondo il report trimestrale LookOut – Rinnovabili Elettriche della stessa eLeMeNS, l’Italia si trova in una situazione di overcapacity del sistema elettrico stimato in circa un terzo, che si è aggravato con la crisi economica. Alla luce di questo scenario, la crescita delle rinnovabili è destinata a registrare un’ulteriore frenata nell’anno in corso, con la parziale eccezione delle biomasse, che potrebbero crescere leggermente in termini di nuova potenza installata dopo la batosta del 2013 (-76%).

«Scontiamo soprattutto il crollo degli investimenti, sia dall’estero che dall’Italia stessa, con molti operatori che hanno smesso di fidarsi di un Paese alle prese con continui cambi legislativi», aggiunge Durante. Un problema a dire il vero comune anche ad altri settori della nostra economia, che tende a far calare l’appeal presso i grandi investitori internazionali.

Chi resta sul mercato cerca di puntare sulla flessibilità. «Notiamo che gli investimenti si spostano da una tecnologia all’altra in funzione dell’andamento degli incentivi e dei regimi di autorizzazione», aggiunge Durante. «Molti operatori, inoltre, hanno abbandonato il business della costruzione degli impianti per specializzarsi sul trading o sul consolidamento industriale su una sola tecnologia di produzione elettrica».

Non mancano, poi, quelli che cercano spazi all’estero: «Nord-Africa, Polonia e SudAmerica sono le aree più interessanti in questo momento, anche se il processo di internazionalizzazione non è semplice per le piccole e medie imprese italiane».

 Grafico A: Stima del risparmio complessivo dei consumaroti dovuto alle rinnovabili non programmabili, “what if” 2013 [elaborazioni eLeMeNS] (per guardare il grafico ingrandito cliccare qui)

Grafico 1: 2012 vs 2013: Potenza installata ed energia prodotta da ciascuna fonte [eLeMeNS su dati Terna] (per guardare il grafico ingrandito cliccare qui)

Grafico 2: Nuova potenza in esercizio dal 2010 al 2014 (stime) per ciascuna fonte [eLeMeNS su dati storici GSE] (per guardare il grafico ingrandito cliccare qui)

L’incubo dello “Spalma Incentivi”

Su una situazione già critica per il settore pesa, poi, l’incubo del decreto “Spalma Incentivi” che il governo ha appena varato. Una norma finalizzata a ridurre il peso delle bollette a carico delle Pmi, reperendo risorse attraverso la spalmatura degli incentivi alle rinnovabili. Secondo Assorinnovabili l’adozione di questo strumento produrrebbe danni di immagine sull’affidabilità del Paese a livello internazionale e aumenterebbe le difficoltà del sistema del credito, oltre a provocare il fallimento degli operatori ancora attivi sul mercato, con un grave impatto a livello occupazionale. «Già solo l’intenzione del governo sta provocando forti contraccolpi nel sistema creditizio che di fatto ha congelato i nuovi finanziamenti, paralizzando il settore con ripercussioni negative per i 100mila addetti del fotovoltaico, ma anche per le casse dello Stato, che potrebbero rinunciare a entrate fiscali per oltre 600 milioni di euro», spiega il presidente Agostino Re Rebaudengosta.

Un concetto ribadito da due associati, che riportano la propria esperienza nel settore. «Per quanto riguarda la mia azienda, non vi sarebbe alternativa alla chiusura dato che sarebbe impossibile continuare a pagare il mutuo per gli impianti contratto a condizioni ben diverse da quelle che vuole ora imporre l’esecutivo», ha spiegato qualche giorno prima del varo del decreto Pietro Pacchione, alla guida di Greenutility e membro del consiglio direttivo di Assorinnovabili con delega al fotovoltaico. «Lo stesso discorso varrebbe per tutte quelle aziende che hanno fin qui resistito al calo degli incentivi cercando una specializzazione, ad esempio nella manutenzione e negli interventi per migliorare la resa degli impianti esistenti». Anche Pacchione sottolinea, inoltre, la tendenza crescente tra gli operatori italiani delle rinnovabili a cercare nuove frontiere all’estero, «dal Sudafrica al Cile, dal Giappone all’India». «Oggi la priorità non è più costruire impianti in Italia, ma concentrarsi sulla manutenzione per ottimizzarne la resa e il ciclo di vita», gli fa eco Paolo Lugiato di Rtr Energy, nonché vicepresidente di Assorinnovabili, secondo il quale oggi i settori con maggiore tasso di sviluppo sono «il monitoraggio e la guardiania, per ragioni di sicurezza». Settori lontani anni luce sia in termini di redditività, che di prospettiva, da quelli che avevano caratterizzato il boom delle rinnovabili italiani sino a poco tempo fa.

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