Il referendum bipartisan contro l’Europa dell’austerità

Il referendum bipartisan contro l’Europa dell’austerità

Un referendum per fermare l’austerità. Quattro quesiti per modificare la norma che due anni fa ha recepito il Fiscal Compact nel nostro Paese. È una sfida difficile, ma il fronte trasversale che sta conducendo la battaglia è convinto di poter raggiungere l’obiettivo. Lo ha spiegato stamattina a Montecitorio il presidente del comitato promotore “Stop Austerità”, l’economista e professore all’Università di Tor Vergata Gustavo Piga. Al suo fianco si sono già schierati una quindicina di giuristi, economisti e tecnici di diverse provenienze politiche. Dal prof Mario Baldassarri al consigliere di Stato Paolo De Ioanna, passando per la responsabile del Forum Economia Cgil Laura Pennacchi. «Tutti uniti per dire basta a questa ottusa austerità». Da sinistra a destra, dentro e fuori il Parlamento. Non a caso durante l’incontro di oggi è stata formalizzata la partecipazione alla campagna referendaria di Fratelli d’Italia, il primo partito di centrodestra attivamente impegnato nella promozione della consultazione.

L’attenzione del comitato promotore si concentra sul Fiscal Compact. Il trattato intergovernativo recepito dall’esecutivo Monti che dal prossimo anno vincolerà il nostro Paese a una drastica riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil. Questo perché «se l’Italia dovesse rispettare il Fiscal Compact – denunciano oggi i referendari – a partire dal 2015 si troverebbe a fronteggiare uno sforzo finanziario impensabile per ridurre il debito dall’attuale 135 per cento al 60 per cento nell’arco di venti anni. Il che si traduce (a parametri di debito, Pil e inflazione invariati) in manovre valutabili fra i 30 e i 50 miliardi di euro l’anno».

Ma per dare battaglia alle politiche di austerità è necessario ricorrere a un espediente. Sottoporre a referendum abrogativo i trattati internazionali non è possibile. Così i giuristi del comitato promotore provano ad aggirare l’ostacolo puntando alla modifica della legge 243 del 2012. È la norma che ha attuato le nuove disposizioni costituzionali in seguito alla ricezione del Fiscal Compact (in particolare il principio del pareggio di bilancio). Quattro quesiti per cancellare altrettanti passaggi del provvedimento, «che impongono addirittura vincoli aggiuntivi rispetto alle norme europee e al Fiscal Compact». Eccessi di zelo. «Si tratta di disposizioni – spiegano ancora al comitato promotore – che danno luogo a un’applicazione “esasperata” del principio di equilibrio dei bilanci. Le norme che sono oggetto dei quattro quesiti, infatti, impongono o consentono decisioni pubbliche inutilmente vessatorie e pericolosamente restrittive per l’economia, il lavoro, lo sviluppo del Paese». 

La vera battaglia si concentra altrove. Con la promozione dei referendum i promotori intendono portare l’attenzione degli italiani sugli impatti e le conseguenze che il Fiscal compact avrà nella vita di ciascuno. Conseguenze dirette, denunciano. Potenzialmente disastrose. «L’Italia e l’Europa continuano a essere vittime delle politiche di austerità, fatte di tagli indiscriminati dello stato sociale, di assenza di investimenti per il futuro delle imprese e dei giovani, di aumenti insostenibili della pressione fiscale. Ma l’austerità non è la soluzione ai problemi della crisi, piuttosto la aggrava» spiega uno dei volantini che vengono distribuiti in questi giorni. 

«Se il Fiscal compact non sarà modificato – ha spiegato l’ex ministro Gianni Alemanno durante la conferenza stampa alla Camera dei deputati – l’Italia rischia di finire nelle mani della troika europea come avvenuto in Grecia». Ecco allora che il referendum potrà permettere agli italiani di potersi finalmente esprimere contro le politiche di austerità. Ma fornirà anche al governo un’importante opportunità. Una carta da giocare a Bruxelles, qualora il nostro Paese decidesse di rinegoziare i dettagli del Fiscal Compact con i partner Ue. Nulla è impossibile. Del resto «Paesi più intelligenti di noi come il Regno Unito quel trattato non l’hanno mai firmato» racconta ancora Piga.

Nessuna battaglia anti-euro, però. Il logo dell’iniziativa è di colore blu e giallo. «Sono i colori della bandiera europea – spiega il presidente del comitato promotore – Perché per salvare l’Europa bisogna cambiarla profondamente». I primi banchetti per la raccolta delle firme sono già stati allestiti. C’è tempo fino al 30 settembre per raggiungere le 500mila sottoscrizioni previste. Un impegno gravoso ma non impossibile. «Saranno decisive le ultime settimane» racconta il professor Piga, che descrive con ottimismo i primi passi della campagna referendaria. Iniziativa rigorosamente trasversale. Si punta sulla macchina organizzativa della Cgil, ma anche sull’apporto che il partito di Giorgia Meloni potrà fornire sul territorio.