Il viaggio de Linkiesta nell’emergenza nomadi della Capitale. Un reportage in tre puntate sul dramma sociale dei campi rom, le storie dei protagonisti e l’incredibile spreco di denaro pubblico. (La prima puntata)
SECONDA PARTE – Nella Capitale Antonio Di Maggio si occupa dei rom da almeno vent’anni. Un veterano dell’emergenza nomadi. Vicecomandante della Polizia locale di Roma, è il titolare del gruppo di Sicurezza Pubblica ed Emergenziale, un nucleo di 60 uomini impegnato, tra le altre cose, nel monitoraggio dei campi autorizzati e degli insediamenti abusivi. Modi burberi e disponibilità genuina, alle sue dipendenze c’è una squadra affiatata. Una task force di eccellenza che vigila sulla Capitale parallela: una città fatta di nomadi, invisibili, senzatetto, abusivismo edilizio e ambientale. Agenti in prima linea, ma solo tre pattuglie per turno che devono vegliare su tutto il territorio. Chi si aspetta un ufficio al Campidoglio, magari con vista sui Fori, rischia di rimanere deluso. La sede del gruppo è a Ponte di Nona, quartiere ultraperiferico a est di Roma. Palazzoni nuovi e strade larghe che venerano la classica cattedrale nel deserto, il centro commerciale. L’aria è quella del quartiere dormitorio, come ce ne sono tanti ai margini delle grandi metropoli. Persino anonimo, se non fosse per il campo nomadi di Salone.
Un tempo insediamento modello, oggi è unanimemente riconosciuto come uno degli accampamenti più difficili della Capitale. Nel 2006 era nato per ospitare 600 persone, ma già un anno fa l’ufficio nomadi del Comune ne aveva censite 900. Per qualcuno ora sono molte di più. L’Associazione 21 Luglio, da sempre vicina alle comunità rom e sinti, denuncia le difficoltà di vita dei nomadi residenti, strettamente connesse alla posizione isolata del campo. «Raggiungere i servizi essenziali dall’insediamento risulta estremamente complicato — si legge in un recente dossier — La farmacia più vicina dista 4,2 chilometri, l’ospedale 10,6 chilometri, l’ufficio postale 2,7 chilometri, il negozio di generi alimentari 3,2 chilometri». Intanto solo lo scorso anno il Campidoglio ha investito quasi tre milioni di euro per la gestione del campo. In circa otto anni, stima l’associazione, ognuna delle famiglie che vive qui è costata alle casse cittadine 144,558mila euro.
Uno dei roghi tossici nelle immediate vicinanze di un campo rom, periferia orientale della Capitale
Per tutti, quello di Salone è il campo degli incendi. Se ne lamentano gli abitanti del quartiere, le autorità locali confermano con rassegnazione. Una terra dei fuochi lungo il grande raccordo anulare. Di giorno i palazzi vicini all’insediamento vengono avvolti da alte nuvole di fumo denso e nero. La notte i vigili del fuoco sono costretti a intervenire per spegnere le fiamme (quando non devono scappare perché accolti a sassate). Come spiega un rapporto della Polizia locale di Roma Capitale, nel campo di via di Salone è stata «accertata un’attività di gestione illecita di rifiuti». Le indagini della squadra di Di Maggio hanno evidenziato la presenza attorno all’insediamento di almeno «40-50 autocarri adibiti a raccolta e trasporto di rottami». Così assieme agli incendi incontrollati — e i conseguenti rischi per la salute di chi vive a Ponte di Nona — nella zona sono già state sequestrate un paio di discariche abusive e quasi 6mila chili di rifiuti. Una situazione resa ancora più rischiosa dal contesto ambientale. Nei decenni passati, la zona dove sorge il campo nomadi ospitava vecchie discariche e cave di pozzolana riempite di rifiuti. Come se non bastasse, a pochi metri dall’insediamento oggi sorge un deposito Gpl dell’Eni e un’ex area industriale nel cui sottosuolo Italgas nel 2010 appurava una «contaminazione storica» di sostanze come arsenico, berillio, piombo, rame, selenio e idrocarburi vari.
All’ingresso del campo fa bella mostra una mercedes Classe A carbonizzata, data alle fiamme nella notte
È il Gruppo Sicurezza Pubblica ed Emergenziale ad avere il polso della situazione sui vari campi nomadi capitolini. Nonostante la qualifica di dirigente, Antonio Di Maggio partecipa personalmente ai controlli: dagli sgomberi ai sopralluoghi. Nel campo di Salone ormai lo conoscono tutti, per entrare basta una sola pattuglia della Municipale. Nessun insulto, solo saluti e sorrisi. Tra i moduli abitativi messi a disposizione dal Campidoglio i più piccoli lo accolgono mostrando il palmo della mano. «Ciao Maggio». Gli anziani del campo lo rispettano. I resti degli ultimi roghi sono ancora visibili. All’ingresso del campo fa bella mostra una mercedes Classe A carbonizzata, data alle fiamme nella notte. E poi diversi cumuli di rifiuti ammassati a bordo strada, nonostante i cassonetti presenti nel campo. Telecamere spente, portineria della vigilanza vuota e un container con la scritta “Polizia Municipale” sbarrato da tempo. «Mancano le risorse», conferma un agente. Tra bambini in bicicletta e sporcizia, lungo la stradina che attraversa l’insediamento si alternano pozzanghere e topi. «Con i nomadi – racconta Di Maggio durante il sopralluogo – c’è un confronto quotidiano». Il fattore umano conta più di qualsiasi protocollo. «Loro si rivolgono a noi per chiederci aiuto su violenze subite e problematiche sociali».
Veduta aerea di una porzione del “villaggio della solidarietà” di Candoni, Roma sud
Eppure il rapporto tra i nomadi e il quartiere è diventato difficile. Forse anche troppo. E così a Ponte di Nona un gruppo di cittadini ha iniziato a pattugliare le strade per arginare illegalità e delinquenza. Due automobili, una decina di volontari, alternandosi riescono a operare per tutta la notte. Sono il Caop, Coordinamento Azioni Operative Ponte di Nona. Il presidente è Franco Pirina, libero professionista e residente in zona. «Quando vediamo qualcosa che non va — ci tiene a specificare — non interveniamo. Chiamiamo immediatamente le forze dell’ordine». Le pattuglie improvvisate girano per le strade del quartiere fino alle prime luci dell’alba. La gente si sente più sicura, racconta orgoglioso il presidente, tanto che presto il servizio sarà esteso anche alla vicina zona di Settecamini.
Pirina non gira troppo attorno alle parole. A Ponte di Nona la situazione ormai è insostenibile. «E per quello che vedo io — racconta — l’ottanta per cento dell’illegalità è legata al campo nomadi». Nel quartiere c’è chi denuncia furti, atti di vandalismo. Al centro delle polemiche restano gli immancabili roghi. Di fronte alle colonne di fumo che continuano ad alzarsi, i cittadini si difendono come possono. Dopo alcune segnalazioni in Campidoglio, lo scorso autunno Pirina ha denunciato Ignazio Marino e l’amministrazione comunale per omissione di atti d’ufficio. «La sa una cosa? — racconta il presidente del Caop — Il gabinetto del sindaco mi ha già contattato per chiedere di rinunciare alla querela. Ma io li voglio portare in tribunale. Al processo ci costituiremo parte civile e il risarcimento che otterremo sarà interamente devoluto alle forze dell’ordine». Nonostante le buone intenzioni, il rischio che la tensione possa degenerare è concreto. «Da un momento all’altro può succedere qualcosa — racconta ancora Pirina — spiace dirlo, ma abbiamo già scritto al prefetto per avvertirlo che qualcuno potrebbe compiere azioni violente ed eclatanti nei confronti del campo nomadi. La gente ormai è esasperata».
Ponte di Nona, un nomade rovista in un cassonetto della spazzatura
Intanto i campi nomadi della Capitale sono rimasti senza controllo. Lo scorso primo luglio, il Campidoglio ha deciso di sospendere il servizio di monitoraggio e portierato dei villaggi autorizzati svolto da 80 operatori della società Risorse per Roma, partecipata del Comune. Una scelta politica, lamenta qualcuno. Il progetto era stato voluto da Gianni Alemanno: un servizio di controllo degli ingressi, ispezioni nei campi e segnalazioni alle autorità competenti. Ora la giunta di centrosinistra ha deciso di voltare pagina. «Eravamo entrati due anni e mezzo fa con un bando pubblico — racconta uno degli operatori rimasti senza stipendio — e adesso siamo finiti in mezzo a una strada». In questi giorni è in corso un braccio di ferro con l’amministrazione capitolina per salvare i posti di lavoro. Anche per questo gli ex lavoratori di Risorse per Roma chiedono di parlare sotto anonimato. Dai loro racconti emerge una realtà inquietante. Violenze, minacce e aggressioni subite durante i turni di servizio.
«La nuova amministrazione cittadina ha mostrato totale disinteresse. Le nostre segnalazioni sono finite sistematicamente nel nulla»
Fino a pochi giorni fa i dipendenti hanno controllato gli accessi degli insediamenti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Il risultato? Oltre 8mila segnalazioni alle autorità competenti relative ad attività illecite, richieste di soccorso, manutenzione. Non solo. I dipendenti rappresentavano un punto di riferimento per le fasce più deboli della comunità nomade. «Donne, bambini. Famiglie spesso costrette a pagare il pizzo per poter avere in subaffitto i moduli abitativi messi a disposizione del campo». Adesso tutto è cambiato. «La nuova amministrazione cittadina ha mostrato totale disinteresse. Le nostre segnalazioni sono finite sistematicamente nel nulla». Fino alla definitiva sospensione del servizio. «E i risultati già si vedono — racconta uno dei dipendenti licenziati — al campo della Barbuta sono stati vandalizzati i moduli abitativi destinati a Risorse per Roma e alla Croce Rossa. Solo il nostro presidio era costato circa 40mila euro. Senza considerare la distruzione degli impianti di video-sorveglianza».
Al centro delle polemiche finisce l’assessore alle Politiche sociali del Campidoglio, Rita Cutini. Docente universitaria vicina alla comunità di Sant’Egidio. Nella gestione della vicenda nomadi, sono in molti a lamentare l’assenza di una strategia precisa da parte della giunta Marino. «L’assessorato? È un muro di gomma — sussurra una fonte vicina al Campidoglio — da parte di questa amministrazione non c’è alcun tipo di progettualità per la questione rom. Almeno Alemanno, con tutti gli errori che ha fatto, dialogava e incontrava personalmente le comunità, anche scavalcando le cooperative e le associazioni che da sempre operavano nell’ambito». Solo cattiverie? Tra critiche e dubbi sulla gestione emergenziale, neanche Linkiesta riesce a raggiungere l’assessore Cutini. A una richiesta di intervista, la portavoce rifiuta cordialmente. «Al momento non è possibile, dobbiamo risentirci più in là perché prima vogliamo risolvere la questione del bilancio al sociale». Evidentemente non c’è tempo per rispondere alle domande.
(2-SEGUE)